Olimpiadi, non c’è il "clima"

A giorni conosceremo la città o le città in cui si disputeranno le prossime Olimpiadi invernali del 2026. Sarà, come sempre, una scelta meditata e fatta sulla base di criteri che sono stati indicati da una apposita Commissione. Dopodiché partirà, come da copione, la polemica politica sulle responsabilità dei singoli, dei partiti, e del territorio di riferimento. Un film troppo noto per essere ulteriormente descritto. Ma, al di là di questa narrazione, c'è un solo aspetto su cui vorrei richiamare l'attenzione. Ed è quello che va sotto il nome di “clima politico”, cioè come è maturata la scelta di Torino 2006 rispetto al percorso fin qui intrapreso. Lo dico perché in quelle Olimpiadi, quelle del 2006, ho avuto l’onore e l’onere come parlamentare dell'Ulivo piemontese di seguire l’intero iter normativo e legislativo alla Camera presso la Commissione Ambiente e Lavori Pubblici. Oltre ad essere il deputato del collegio, Pinerolo, che ospitava buona parte delle gare olimpiche. E questo mi ha permesso, in quegli anni, facendo la spola tra Roma e il territorio, di partecipare e promuovere centinaia di incontri per discutere delle opere infrastrutturali, degli investimenti necessari e delle azioni da intraprendere per coinvolgere il più possibile la pubblica opinione interessata all'evento olimpico e non.

Ebbene, al di là delle cifre finanziarie, delle opere realizzate, del cronoprogramma rispettato e delle strutture sportive da costruire perché richieste dal programma olimpico, c’è un aspetto che, al di là di ogni interessata polemica, separa quella stagione da quella contemporanea. Ed è proprio il clima politico e ambientale. Se in vista nel 2006 si respirava un’aria olimpica, se così la vogliamo definire, che unificava il pubblico e il privato, le istituzioni e le parti politiche, il mondo sportivo ed il territorio - seppur dopo una titubanza e una perplessità iniziali - adesso la scelta di Torino, e quindi del territorio circostante come sede olimpica, è ormai da mesi al centro delle beghe politiche e delle contrapposizioni tra i vari attori politici. Certo, ci sono per fortuna i comuni olimpici delle valli che si sono mossi con coerenza, coraggio e determinazione. Si sono svegliate, per fortuna, anche alcune organizzazioni imprenditoriali e alcuni esponenti politici dei vari partiti - più per protagonismo personale che non per convinzione - hanno alzato la “bandiera olimpica”. Ma il clima complessivo è quello che è. Non a caso, con Torino 2006 - cioè con tutto l'iter preparatorio a livello politico e sociale - si coniò la felice espressione di “coesione istituzionale” del sistema Piemonte. Ovvero, un esempio virtuoso che a Torino e in Piemonte era ormai un ricordo del passato quando, in circostanze drammatiche per le sorti della nostra democrazia e per la credibilità delle nostre istituzioni, si registrò una vasta e feconda solidarietà politica a livello territoriale. Oltre, per parlare sempre di Olimpiadi, alla correttezza e alla trasparenza di tutto ciò che si realizzò previsto dal dossier olimpico.

Ecco, oggi quel “clima politico e ambientale” semplicemente non c’è più. A livello politico, a livello istituzionale, a livello culturale e a livello sociale. Può darsi che, se la scelta dovesse cadere su Torino e le valli olimpiche, forse quella “coesione istituzionale” faccia di nuovo capolino. Ma, se si deve giudicare il percorso politico, istituzionale e sociale intrapreso sino ad oggi - il che è sotto gli occhi di tutti - non c’è da essere né ottimisti e né particolarmente allegri per come è stata giocata e governata l’intera partita olimpica.

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