TRAVAGLI DEMOCRATICI

Chiamparino alla guida del Pd

Da reggente a segretario del partito piemontese con pieni poteri. Da circoli e quadri parte l'appello al governatore: "Candidati al congresso". Una mossa per scongiurare la guerra per bande e valorizzarne al massimo l'apporto in campagna elettorale

“Sergio candidati”. C’è una punta di perfidia, se non di autentico sadismo, nella decisione di Sergio Chiamparino di demandare al congresso del Pd piemontese dell’autunno prossimo la definizione del perimetro politico (alleanze) e la conseguente scelta del candidato presidente per la Regione. La probabilità che il partito, balcanizzato in correnti e sottocomponenti, si presenti all’appuntamento con le assise dilaniato da una immanente guerra fratricida è altissima e, forse, anche per tentare di scongiurare uno scontro che potrebbe essere esiziale, molti nel Pd pensano che debba essere lui, l’ultimo cavallo di razza dell’agonizzante centrosinistra, a condurre la partita. Non più da reggente ma da segretario nel pieno dei poteri. Se, dopo il “non possumus” pronunciato a Baveno, la questione di una sua corsa per un secondo mandato è definitivamente archiviata, non si può mandare in pensione, pur assicurandogli uno scranno prestigioso in Europa, una delle poche figure ancora in grado di catturare consensi e simpatie ben oltre i confini della coalizione. Così la pensano militanti dei circoli e quadri intermedi che in queste ore, in un fitto scambio di telefonate e messaggi sui social, meditano di lanciare un appello a Chiamparino: “Sergio candidati alla guida del Pd”.

Al momento sono “sussurri e grida”, udibili tendendo l’orecchio sia a chi è pronto ad appoggiare Daniele Valle alla successione del Chiampa in piazza Castello, sia da chi la candidatura del giovane consigliere regionale mostra di non digerirla e intende osteggiarla. I primi vedrebbero Chiamparino come l’utilissimo segretario – con esperienza di governo – in grado di accompagnare quel salto generazionale con i dovuti accorgimenti per evitare che si trasformi in un salto nel buio. Insomma, il vecchio e il bambino che si prendono per mano e vanno incontro alla sera. I secondi con la segreteria nelle mani del presidente, ormai in uscita dal quinquennio regionale, otterrebbero automaticamente il risultato di impedire che la guida del Pd in Piemonte vada all’altro giovane di Palazzo Lascaris, Raffaele Gallo. In questo modo salterebbe quel caminetto camuffato da patto generazionale.

A Chiamparino, non va dimenticato, si sono rivolte tutte le correnti e sottocorrenti affidandogli il compito di traghettare il partito e lui lo ha assolto confessando più volte in via Masserano, insieme alla badessa Giuliana Manica, quelle varie anime (perse) del Pd. Da lui si è attesa la decisione che solo a lui spettava e che è arrivata venerdì sulla sponda del Lago Maggiore. Lì Chiamparino ha indicato la rotta, ha parlato del congresso regionale legandolo e collegandolo più di quanto non abbia fatto nessun altro alla competizione per la Regione e a quella necessità di “una discontinuità nelle candidature” per cercare di riuscire a vincere.

Insomma, sulla carta – mentre sull’etichetta di una bottiglia e in altri luoghi compaiono ormai da tempo papabili e aspiranti successori di Davide Gariglio – una segreteria Chiamparino avrebbe ben pochi ostacoli. Il principale sarebbe probabilmente, nel caso di concretizzasse il proposito, proprio un suo ulteriore diniego. Più difficile da accettare rispetto a quello sulla ricandidatura.

Non è un modo di dire, né una piaggeria l’affermare, come si fa sia pure a mezza bocca, che chiunque sarà il candidato alla presidenza della Regione dovrà avere il placet (e quindi il sostegno) del Chiampa. Tanto vale – è uno dei ragionamenti – che quell’imprimatur arrivi con il crisma e il peso (accentuato) di chi è stato scelto per guidare il partito, superando battaglie e ambizioni che nelle prossime settimane si potrebbero annunciare con più evidenza rispetto a quanto accaduto fino ad oggi. Un altro no, dopo quello di Baveno, avrebbe il tratto di una diserzione.

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