VERSO IL 2019

Un Chiamparino di lotta e di (poco) governo

La disponibilità (a giorni alterni) a ricandidarsi disorienta i suoi. Un balletto che, assieme al revanscismo sabaudo, non basta per nascondere i deludenti risultati della sua amministrazione. E dall'opposizione Pichetto fa gli scongiuri: "Serve il centrodestra"

Un’alleanza trasversale, ma non troppo, che unisca attorno a un progetto di rilancio del Piemonte forze economiche e sociali, realtà locali e civiche, tutte ça va sans dire “responsabili”. Che superi il perimetro tradizionale della coalizione di centrosinistra, oltre i partiti ma coinvolgendo i partiti. È il fronte che Sergio Chiamparino sta delineando da tempo in vista delle elezioni regionali del 2019. Una sorta di union sacrée in difesa di una regione finita sotto le grinfie dell’ircocervo pentaleghista e messa ai margini, quando non esplicitamente penalizzata, dall’imperante governo gialloverde. Issata la bandiera della Tav, il governatore chiama alle armi i piemontesi e, sia pure dissimulando con infingarda falsa modestia, dichiara la propria disponibilità a condurre la battaglia. A settimane alterne. Questa ferragostana è quella in cui la sua ricandidatura pare nuovamente tornata in auge, dopo che esattamente un mese fa, a Baveno, aveva annunciato l’intenzione di gettare la spugna.

L’intervista odierna a Repubblica invece di galvanizzare le truppe ha in realtà gettato nuovo sconforto. E non solo tra quanti si stavano preparando a proporsi quali potenziali successori (pochi in maniera esplicita, di più in segreto). Agli osservatori, infatti, non è sfuggita la carestia progettuale di una operazione che ha (ancora) i tipici tratti della politica politicante, tutta interna corporis agli assetti di potere e alle logiche stantie dei rapporti tra istituzioni e corpi intermedi. Se la carta d’identità non può essere un programma politico (ma è comunque un innegabile elemento di “discontinuità” molto più di certe formulazioni spagnolesche e di certi ossimori barocchi), neppure la “resistenza” tardo sabauda può assurgere a manifesto di governo. Già, perché qui casca il Chiampa quando dimentica di essere da quattro anni il presidente della Regione in carica. Una distrazione che lascia il sospetto di una precisa scelta: quella di mettere il più possibile in ombra atti e risultati del suo governo. Che avrà pure (più o meno) risanato i conti dell’ente, ma non si è certamente distinto per qualità amministrativa – dal Csi a Finpiemonte, alla gestione dei fondi europei, tanto per dire – né per aver palpabilmente migliorato la qualità di vita dei piemontesi (le liste d’attesa in sanità sono il paradigma della scarsa efficienza delle politiche regionali in molti settori).

Insomma, il Chiamparino di lotta tenta di nascondere quello di governo. E come dargli torto, visti i risultati parecchio modesti (e non tiriamo fuori per l’ennesima volta la Borgogna e Boston agitati come specchietto per le allodole in campagna elettorale). Riuscirà a colmare il gap di idee, progetti e realizzazioni con il fascino del politico di buon senso, affabile e alla mano, gigione ma mai lezioso, serio e al contempo non serioso? Non lo crede e, soprattutto, non se lo augura Gilberto Pichetto, tornato a Palazzo Madama dopo aver guidato fino allo scorso aprile l’opposizione di centrodestra che bolla come “anacronistico” il tentativo di Chiamparino. “Non sono bastati i danni e i fallimenti accumulati in questi ultimi quattro anni e mezzo? – si chiede il senatore mettendo il dito nella piaga –, I piemontesi non sono autolesionisti. Ormai il presidente appare sempre di più un pugile suonato che si aggrappa disperatamente all’avversario per non finire ko”. Per poi infierire: “Un giorno dice di non volersi candidare, l’altro dichiara l’esatto opposto. È palese come voglia coprire i fallimenti suoi e del Partito Democratico”. Fa gli scongiuri, Pichetto, visto che Forza Italia non gode di salute migliore, e respinge qualsiasi profferta di un Nazareno alla bagna cauda.

“Sarebbe realmente peculiare che imprenditori e società civile totalmente dimenticati in questi anni dal Governo del centrosinistra, nazionale e regionale, e che più volte hanno lamentato i ritardi e la pessima spesa dei fondi comunitari di colpo si uniscano a chi ha dimostrato di non essere in grado di governare il Piemonte. La nostra Regione deve ripartire da un progetto serio e coerente di centrodestra, l’unico che può essere in grado di rimettere in carreggiata una Regione che era stata gettata nel baratro dalla gestione Bresso e che oggi veleggia a vista con: una sanità ridotta a pezzi, le principali partecipate demolite, pesantissimi ritardi nella spesa dei fondi comunitari, la mancanza di politiche industriali d’ampio respiro e famiglie sempre più sole nell’affrontare i problemi quotidiani”. L’unica scelta responsabile “è quella di una grande aggregazione di centrodestra con forze civiche, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e tutte quelle persone di buona volontà che possono far tornare grande il nostro Piemonte”, conclude prima di correre alla Consolata ad accendere un cero.

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