BANCHE & POLITICA

Fondazione Crc, lascia Degiacomi

Addio polemico dell'ex sfidante di Genta alla successione di Falco. Nella sua missiva di commiato parla di "gestione personalistica" e "insofferente alle critiche"

Non c’è pace per la Fondazione Crc. Dopo la travagliata successione di Ezio Falco, uno di coloro che si era candidato contro l’attuale presidente Giandomenico Genta, getta la spugna polemicamente e si dimette dal Consiglio Generale. Si tratta di Antonio Degiacomi, candidato al vertice della Fondazione con il sostegno del sindaco di Cuneo Federico Borgna, del collega di Alba Maurizio Marello e dell’uscente Falco e uscito sconfitto dalla sfida con Genta che al suo fianco poteva contare sul presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello e sullo strettissimo giro di Fabrizio Palenzona, capitanato da Giovanni Quaglia.

“Dopo due anni di esperienza della presidenza Genta sento sempre meno efficace il ruolo e l’effettivo coinvolgimento del Consiglio Generale – scrive Degiacomi nella sua missiva di commiato - e intendo tenermi lontano da uno stile di conduzione della Fondazione personalistico, insofferente alle critiche, poco sensibile a possibili conflitti di interesse o comunque a inopportuni cumuli e intrecci di cariche”. Colui che è stato vicepresidente sotto la presidenza di  Falco lancia una vera e propria invettiva, ecco un altro passo saliente: “Non mi illudo che la mia decisione contribuisca a stimolare un dibattito nella comunità provinciale sul ruolo della Fondazione, sui profili richiesti ai designati e più in generale sulla anomalia in provincia di Cuneo e in Piemonte costituita dalla occupazione di cariche da parte di un ristretto e ben identificato gruppo di personaggi che rafforzano il potere personale dando e ricevendo appoggi in modo trasversale”.

Degiacomi parla di “anomalia in provincia di Cuneo e in Piemonte” in merito a quella che ritiene essere una “occupazione di cariche da parte di un ristretto e ben identificato gruppo di personaggi, che rafforzano il potere personale dando e ricevendo appoggi in modo trasversale”.

Subito dopo l’annuncio delle dimissioni arriva la replica della Fondazione Crc che in una nota afferma di aver “preso atto questa mattina delle inattese dimissioni di Degiacomi (…). La Fondazione Crc ringrazia Degiacomi per il prezioso lavoro svolto nel ruolo di vicepresidente nel passato mandato e, in questi due anni, come referente della Prima commissione consultiva (Arte, educazione e sport) e componente della Commissione per la revisione dello Statuto, contribuendo in maniera significativa all’innovazione dell’istituzione”.

Di seguito la lettera integrale con cui Degiacomi annuncia il suo addio.

«Con sollievo e rammarico rassegno le mie dimissioni da consigliere del Consiglio Generale. La decisione non è dovuta a ragioni familiari, perché l’incarico non è così gravoso, anche se qualche problema familiare in questi due anni ho dovuto affrontare. Non è dovuta alla somma di impegni, perché rivesto una sola altra carica, non retribuita, non incompatibile, non in conflitto di interessi. Non è dovuta alla ripulsa nei confronti del compenso, che peraltro ho già autoridotto del 30%. Non è dovuta al fatto di essere diventato indifferente nei confronti di questa istituzione così preziosa per la comunità provinciale che grazie ai nostri predecessori, e in particolare alla Presidenza Oddero, può contare su un grande patrimonio e che grazie alla Presidenza Falco, con la quale ho potuto collaborare per cinque anni, si è data una solida struttura, un centro studi, una metodologia di programmazione e di erogazione attraverso bandi e progetti. Dopo la sconfitta della mia candidatura alla Presidenza non ho fatto mancare il mio contributo ai lavori della Commissione Arte, Istruzione e Sport che ho coordinato e ai lavori della Commissione Statuto nella quale ho cercato di raggiungere le mediazioni possibili tra posizioni a volte molto divergenti. 

In Consiglio Generale ho espresso con lealtà e franchezza il mio apporto, critico a volte sulle politiche di bilancio, sui rapporti con la banca conferitaria, sulle modalità dei processi di fusione con altre Fondazioni, sulla remunerazione degli organi, su qualche aspetto della programmazione, limitando a poche significative occasioni il mio voto contrario o la mia astensione. Ho inoltre richiesto, senza esito, di costituire la Commissione consultiva sulla gestione del patrimonio e di fornire ulteriori occasioni di approfondimento al Consiglio generale su tale fondamentale materia. Non ho potuto che prendere atto delle decisioni che competono per Statuto al Consiglio di Amministrazione e che non mi hanno convinto, ad esempio la riduzione dell’impegno nel settore Istruzione e l’enfasi sullo Sviluppo locale – come se non vi concorressero tutti gli altri settori; alcune modifiche poco comprensibili nell’organizzazione del personale; la polarizzazione tra pochi pretesi “interventi faro” e la dispersione in tante piccole erogazioni e in tante iniziative buone più per un titolo di giornale che per la capacità di incidere; alcune scelte di investimento (tra le quali Atlantia – 52 dei 120 milioni di liquidità ricavati dalla vendita di Bre – e gli impegni nel settore bancario) che in tempi non facili avrebbero a mio avviso dovuto maggiormente accentuare la diversificazione. 

Perché dunque mi dimetto? Perché dopo due anni di esperienza della Presidenza Genta sento sempre meno efficace il ruolo e l’effettivo coinvolgimento del Consiglio Generale e intendo tenermi lontano da uno stile di conduzione della Fondazione personalistico, insofferente alle critiche, poco sensibile a possibili conflitti di interesse o comunque a inopportuni cumuli e intrecci di cariche. 

Non mi illudo che la mia decisione contribuisca a stimolare un dibattito nella comunità provinciale sul ruolo della Fondazione, sui profili richiesti ai designati e più in generale sulla anomalia in provincia di Cuneo e in Piemonte costituita dalla occupazione di cariche da parte di un ristretto e ben identificato gruppo di personaggi che rafforzano il potere personale dando e ricevendo appoggi in modo trasversale. 

Diciamo allora che mi dimetto per ragioni di salute, nel senso che l’essere coerenti e liberi e lontani da certi meccanismi di potere consente di vivere più felici o almeno più sereni i giorni che ci sono assegnati”. 

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