Ma cos'è questa austerity?

In Italia la parola “austerity” ha assunto significati negativi venendo associata alla cattiva Unione Europea che l’avrebbe imposta. Complice forse anche l’uso del termine inglese e soprattutto la malaccorta gestione del governo Monti si è frainteso il significato. In realtà in Italia di austerity se ne è vista veramente poca ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: un debito pubblico crescente.

Quando nel 2011 ci fu la crisi dello spread che portò al governo Monti, e senza ipotizzare complotti con sommo gaudio degli altri stati europei, perché in fondo ognuno pensa ai propri interessi e nulla più, venne tirato fuori questo termine un po’ desueto. Il problema è come stato interpretato in Italia. Quando una famiglia ha un buon reddito, ma ha le mani bucate tendendo ad indebitarsi sempre più, arriverà ad un punto che non riuscirà a ripagare le varie rate mensili dei prestiti fatti. Ed è quello che rischia lo stato italiano. Normalmente cosa si fa in una simile situazione? Si incominciano a tagliare le spese inutili: parliamo di una famiglia con un buon reddito e non di una sulla soglia della povertà che ha solo spese necessarie. La situazione dello stato italiano è proprio quella di una famiglia con un buon reddito, le entrate fiscali, che nonostante crisi e rallentamento economico continuano a salire. L’austerity sarebbe dovuta consistere in un taglio delle spese e non in aumento delle tasse. Il governo Monti ha fatto l’esatto contrario, aumentando le entrate e addirittura aumentando le spese con aggravio del debito pubblico. I soldi in più delle tasse dove sono finiti se l’ammontare del debito pubblico è continuato ad aumentare? Ovviamente in spesa pubblica. Tale operato non può essere considerato austerity. L’unica riforma che andava nell’ottica della riduzione delle spese è stata la pasticciata riforma Fornero delle pensioni. L’attuale governo vorrebbe smontare tale riforma aumentando gli esborsi per i conti dello stato che si tramuteranno in nuove tasse per le generazioni future. Una parvenza di austerity questo governo la sta attuando tagliando i vitalizi ai parlamentari e le cosiddette pensioni d’oro. Riforme che potevano essere fatte dal governo Monti che aveva dalla sua un clima di emergenza che gli avrebbe permesso di attuare qualsiasi riforma senza trovare opposizioni né nel parlamento né nel paese. Il governo Monti si è limitato a tassare gli immobili in base alla teoria che era meglio spostare l’imposizione dal lavoro al patrimonio, determinando una gigantesca distruzione di valore della ricchezza degli italiani peggiore di quella della crisi internazionale dei subprime. Non si capisce se per incapacità o per compiacere i partner europei. In ogni caso non si trattava di austerity.

I governi successivi, nonostante ciò che ne possa raccontare l’attuale, hanno continuato nella stessa politica aumentando spese e debito pubblici. L’attuale manovra che viene sbandierata come del “cambiamento” non fa che proseguire con le politiche del deficit, ovvero dell’aumento della spesa pubblica a debito nella speranza keynesiana che ciò possa far ripartire l’economia ciò che in passato non è mai avvenuto. Nel 2017 il rapporto deficit Pil è stato pari al 2,3, mentre quello proposto dal governo Conte è del 2,4: un cambiamento “gigantesco”! La cosa peggiore non è tanto nel sbandierare come nuovo ciò che non è, ma nel non rendersi conto, che reiterare una politica che non ha mai funzionato, all’ennesimo tentativo possa funzionare.

Se l’attuale governo volesse essere veramente del cambiamento, dovrebbe finalmente attuare una politica di austerity, tagliando 50 miliardi della spesa pubblica all’anno che su uscite complessive di 850 sono pari a meno del 6%. Ciò permetterebbe di non avere deficit e di poter incominciare a ridurre l’ammontare del debito pubblico. Le uniche iniziative in questo senso, come già ribadito, sono quelle per la riduzione dei vitalizi e delle pensioni d’oro che rappresentano briciole. Bisognerebbe procedere con la chiusura di tanti enti inutili, con una seria riduzione della burocrazia che permetterebbe di chiudere degli uffici anche senza licenziare dipendenti, nessuno vuole mettere sulla strada lavoratori, un aumento dei regimi forfettari con conseguente riduzione dei controlli e delle relative spese, riduzione di agevolazioni e trasferimenti alle imprese, liquidazione di Alitalia, privatizzazione delle tante società partecipate dagli enti locali, un deciso taglio dei costi di funzionamento di parlamento, presidenza della repubblica e delle giunte regionali, eliminazione degli aiuti a cinema ed editoria, abolizione degli incentivi alle rinnovabili e così via. Di cose da tagliare c’è ne sono. Alcuni di questi provvedimenti potrebbero avere un impatto positivo diretto nelle tasche degli italiani. Per esempio, l’eliminazione degli incentivi alle rinnovabili e i contributi alle imprese energivore dovrebbe comportare l’eliminazione dei vari contributi in bolletta che servono a finanziarli, con una riduzione del costo dell’energia e un sollievo delle esangui tasche degli italiani.

È piuttosto curioso definire un aumento della spesa pubblica come austerity, quando in realtà è l’esatto contrario.

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