Banche a tutto spread

In questo articolo ci soffermeremo sulle conseguenze dell’aumento dello spread sulle banche. Innanzitutto tutto spieghiamo cos’è questo famigerato spread. Ogni stato per raccogliere soldi dal mercato, emette dei titoli, offrendo una remunerazione a chi glieli presta. La remunerazione non è altro che l’interesse e si misura in termini percentuali detto tasso di interesse.  Né più né meno del tasso di interesse di un mutuo o di un prestito con cui abbiamo a che fare tutti i giorni. E come succede per i comuni mortali, il tasso di interesse che si riesce a ottenere dipende da un po’ di fattori tra cui il più importante è la probabilità che si riesca a restituirli. È piuttosto ovvio che chi si presenta con una solidità patrimoniale e un reddito abbastanza certo, può ottenere un tasso migliore di chi non ha un patrimonio e un reddito variabile e incerto. La stessa cosa succede per gli stati: chi si presenta o appare più solido ottiene condizioni migliori di chi, all’opposto, ha una situazione meno solida. In Europa lo stato che viene considerato più solido a torto o a ragione è la Germania che pertanto ottiene dal mercato i tassi più favorevoli e in alcuni casi è riuscita ad ottenere tassi negativi ovvero restituiva meno di quanto aveva ottenuto con enormi risparmi sulla spesa di interesse. Lo spread in Europa non è altro che la differenza che paga in più di interesse uno stato rispetto alla Germania.

Un aumento dello spread o senza usare il riferimento alla Germania, l’aumento dei tassi di interesse ha delle conseguenze: lo stato per le nuove emissioni di titoli deve pagare più interessi con vantaggio dei creditori e svantaggi per le casse statali. Un aumento dei tassi di interesse si traduce in un aumento della spesa pubblica e potenzialmente delle tasse, cosa che non fa piacere. Da qui si innesca un aumento generalizzato dei tassi di interesse e di conseguenza, per esempio, l’aumento della rata del mutuo a tasso variabile o del tasso di interesse quando si va a chiedere un prestito.

Un’ulteriore conseguenza dell’aumento dei tassi di interesse è la svalutazione dei titoli di stato posseduti da banche, fondi pensione, fondi di investimento e semplici risparmiatori. Se un mese fa si è comprato titoli all’1% e adesso si trovano titoli al 3%, nessuno vorrà comprare i vecchi titoli e chi vorrà venderli dovrà abbassare il prezzo al livello per cui quel 1% iniziale possa garantire un guadagno pari a quelli dei nuovi titoli. Il tutto avviene in maniera automatica, perché esistono semplici formule che ricalcolano il valore di un titolo in base al tasso di interesse di mercato.

Il semplice risparmiatore che mantenga i titoli fino alla scadenza non subisce un danno, ma se avesse la necessità di venderli subirà una perdita. Lo stesso discorso vale per banche e fondi. Il valore delle quote dei fondi pensione, assicurativi e di investimento vengono calcolate ogni giorno in base ai titoli posseduti e al loro valore di mercato. Se posseggono titoli all’1% e il tasso di interesse arriva al 3, automaticamente i titoli in portafoglio si svalutano e di conseguenza il valore della quota.

Per le banche si aggiunge un ulteriore problema. I titoli di stato vengono considerati sicuri e pertanto quelli posseduti dalle banche vengono considerati un indice di solidità delle stesse. Se i titoli si svalutano diminuendo il loro ammontare, si riduce uno degli indici di solidità delle banche. I famosi stress test e le relative sigle misteriose Tier 1, 2 e 3. Il non superamento di questi test potrebbe implicare la necessità di operazioni sul capitale o sugli impieghi per poter mantenere la solidità patrimoniale. Per questo l’aumento dello spread va a danneggiare le banche, che si potrebbero trovare nella situazione di dover effettuare operazioni straordinarie come un aumento di capitale.

Questo a grandi linee le conseguenze dell’aumento dello spread. Come detto in altre occasioni, viviamo in una situazione di tassi di interesse insolitamente bassi, ma regola vuole che i tassi possono salire senza problemi quando l’economia è in crescita, perché in quel caso le entrate fiscali sono in crescita e coprono le maggiori uscite per l’aumento degli interessi e anche gli stipendi dei privati risultano in crescita che così possono coprire gli aumenti delle rate di mutui e prestiti.

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