J'ACCUSE

Prima l'hanno blandita e votata, oggi si pentono di Appendino

Chiarle, numero uno dei metalmeccanici Cisl, rompe il velo d'ipocrisia. Se la prende con l'ex capo degli industriali piemontesi Carbonato e con quel pezzo di Sistema Torino che ha sostenuto la sindaca grillina e ora la rinnega. "Il problema siete voi, lei è solo la conseguenza"

“Il problema non è Chiara Appendino, ma chi l’ha voluta al vertice di Palazzo Civico”. Claudio Chiarle, numero uno dei metalmeccanici Cisl di Torino, è il primo a dare voce pubblicamente a un borbottio che da giorni attraversa i fili del telefono, intasa le chat più o meno segrete, alimenta i capannelli e le discussioni di chi in campagna elettorale non aveva ceduto al canto delle sirene. “Finalmente i pentiti escono allo scoperto” tuona Chiarle. Il riferimento è a “Gianfranco Carbonato, che da presidente di Confindustria Piemonte ha sponsorizzato l’Appendino, insieme alla Fiom, alla sinistra radicale, a Giorgio Airaudo, ai centri sociali”. Una miscellanea solo apparententemente contraddittoria quella che finisce nel mirino del leader Fim.

Sono tanti quelli che oggi si mangiano le mani, in particolare in quel mondo produttivo che aveva visto nella giovane bocconiana della Torino bene un elemento di innovazione, uno iato rispetto a una politica che per troppo tempo è stata asfittica e conservativa. I natali della Appendino, l'appartenenza al comune milieu sabaudo, assieme alla convinzione che, in fondo, sarebbero stati in grado di condizionarne l'azione ha portato molti esponenti dell'establishment cittadino a scommetere sulla discontinuità. Di più, il pedigree borghese (“È una di noi, ha frequentato le nostre stesse scuole”, diceva in campagna elettorale il rampollo di una delle famiglie imprenditoriali della città) sarebbe stato l’antidoto alle tossine ideologiche del Movimento 5 stelle. E così era nata la leggenda della grillina sui generis, bon ton, di “quella brava” (rispetto alla gemella romana Virginia Raggi), comunque avulsa dalle logiche della Casaleggio. Una bubbola, come si è visto, anche se fino all’ultimo c’è chi si ostina a descrivere la prima cittadina piuttosto “ostaggio” che complice dello sfascismo orgogliosamente rivendicato e ostentato dalla maggioranza della Sala rossa. Non è questione di coglionaggine, ovviamente (per carità, scorrendo i nomi dei vertici delle 11 organizzazioni datoriali promotrici della protesta di sabato qualche dubbio è giustificato). È la solita irresponsabilità delle élite casalinghe, la miope visione dell’establishment nostrano che fatica a vedere oltre il proprio ombelico, la codarda e lecchina relazione che le classi dirigenti torinesi hanno avuto con il potere. Verrebbe da dire, ben gli sta: non fosse che questi giocano, anche stavolta, con il culo nostro. Nessuno si aspetta un ravvedimento, un’ammissione di colpa, un riconoscimento pubblico di essersi sbagliati, di aver preso una cantonata. Ma facessero almeno un passo indietro, invece no: sono in prima fila, a mostrare la loro faccia di tolla. Spiegando(ci) cosa serve al nostro bene. Ma vadano...

Tornando a Carbonato, numero uno di Prima Industrie, un colosso da duemila dipendenti e mezzo miliardo di fatturato, ha annunciato alla stampa domestica (che tanto ha coccolato Chiara) la sua adesione alla manifestazione, senza celare la profonda delusione per quanto sta avvenendo in una Torino che “ha bisogno di sentirsi dire qualche sì” perché “se pensa di diventare attraente scegliendo la decrescita felice allora andrò da un’altra parte a cercare lo sviluppo”. Parole durissime, soprattutto se pronunciate da chi ha lavorato per molti anni fianco a fianco con Domenico Appendino, il papà della sindaca, artefice dello sbarco in Cina del gruppo di cui è stato vicepresidente. Non è un segreto che Carbonato fu tra coloro che nel 2016 aprirono le porte di via Vela alla candidata sindaca dei Cinquestelle. Ma per Chiarle questo pullulare di pentiti – al partito si sono recentemente iscritti, tra gli altri, il presidente della Camera di Commercio Vincenzo Ilotte e il vertice dell’Unione Industriale Dario Gallina, fino a pochi mesi fa supporter d'eccezione della sindaca (e Dino De Santis di Confartiginato, con il collega del Cna Nicola Scarlatelli) – mostra “l’ipocrisia, l’incoerenza e la limitata visione di chi faceva parte del Sistema Torino”. Le classi dirigenti hanno “creato questo stato di cose nella nostra città, non l’Appendino che ne è la conseguenza”. Già, il problema sono le élite non i torinesi.

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