Ciò che vuole la borghesia torinese

Una piazza che si riempie è sempre un fatto positivo (tranne quando la si colmi grazie a parole d’ordine anticostituzionali oppure con intenti golpisti). Nell’attimo in cui migliaia di persone si danno appuntamento concentrandosi in un punto della città, per contestare un qualsiasi governo cittadino o nazionale, si mette comunque un freno a eventuali tentazioni di potere del tipo “voglio, posso e comando”. Un freno che purtroppo non funziona sempre ma solo quando scende in campo la borghesia.

Ben vengano i manifestanti di Torino, dall’alto potere contrattuale non acconsentito a tutti, così come ben venga il fiume in piena che ha inondato Roma per ribadire la contrarietà al Decreto Sicurezza; e un benvenuto anche alla manifestazione No TAV dell’8 dicembre prossimo. Manifestazioni che misurano la buona salute della Democrazia ma anche le sue gravi patologie, come purtroppo ha dimostrato Genova nel 2001, e che sovente si trasformano in cartine tornasole utili a misurare i rapporti di forza presenti nella società.

Sei donne imprenditrici piemontesi (probabilmente su delega di terzi) hanno chiamato a raccolta coloro che lamentano una Torino ormai sclerotizzata, nonché al palo a causa degli ultimi No espressi dal consiglio cittadino: primo fra tutti il No al Tav, seguito a quello olimpico. Una chiamata in piazza che ad alcuni ha ricordato amaramente la marcia dei 40.000 (ottobre 1980), mentre ad altri ha consegnato la vana speranza di essere incappati nell’occasione buona per fare risorgere, dalle proprie ceneri, il Partito democratico. Quest’ultimo ha infatti prontamente raccolto le sue deboli forze per sostenere l’appello, mentre non ha mai concesso pari attenzione ai tanti temi di disagio sociale torinese.

Ad ogni modo la folla presente su piazza Castello, per addirittura una quarantina di minuti, era in gran parte composta da coloro che avevano compattamente risposto all’invito alla mobilitazione lanciato dalla Confindustria e dalla componente liberale di Forza Italia, con buona pace dei democratici.

Il Tav, a quanto pare, non si limita più a dettare l’agenda politica torinese e regionale, come avviene oramai da decenni, ma contrappone pure le classi sociali tra loro: da una parte i potenti, coloro che hanno responsabilità di impresa e sperano in commesse pubbliche, e dall’altra chi fatica ad arrivare a fine mese e ogni giorno si reca al lavoro in treni per pendolari stracolmi, o in tram dagli orari non sempre affidabili. A dimostrazione di tale assioma spicca una tra le tante dichiarazioni rilasciate alla stampa dai manifestanti Si Tav: “Voglio che mio figlio faccia l’Erasmus e vada a Lisbona in Tav”.

Dichiarazioni forse superficiali, Lisbona si è sfilata tempo addietro dal progetto del corridoio ad alta velocità, che però fanno da stridente contraltare all’inferno su rotaia a cui è condannato il lavoratore dipendente. Affermazioni blande di chi è cosciente di contare come almeno dieci cittadini “normali” e può quindi permettersi il lusso di scendere in piazza senza neppure informarsi in maniera approfondita sull’oggetto della protesta stessa.

Il tema Tav muove i soliti interessi fatti di commesse e appalti, condizionando la politica subalpina (sia nella buona fede che nella mala fede) nella ricerca di alleanze e nella costruzione dei programmi elettorali. La tratta inoltre è fonte perenne di continue tensioni in Torino e in Valle, quasi a sottolineare costantemente che non si tratta solo di un treno ma qualcosa di molto più importante per chi opera nel settore.

A detta dei manifestanti sostenitori del cantiere Torino-Lione (cantiere attivo da quasi un decennio con risultati tutti da verificare) essere No Tav significa avere una personalità “antica”, “antiquata”, patire inoltre di una forte nostalgia del passato e forse di una leggera follia congenita. Al contrario la dote della modernità si palesa consegnandosi incondizionatamente all’asfalto, al cemento e alle trivelle. Il pensiero della classe dominante, quella che ha organizzato la piazza sabato scorso, riduce il Paese a un committente d’opera che investe nelle grandi infrastrutture, ponendosi il tema di come utilizzarle al meglio solamente all’indomani della loro costruzione: perfetta sintesi, questa, non del modernismo bensì della speculazione pura.

La manifestazione torinese Sì Tav era oggettivamente “padronale”, alto borghese. Gli organizzatori dal palco, al momento del comizio, non hanno certo parlato di tenuta sociale di Torino e neppure della povertà, ma esclusivamente di diritti edificatori ferroviari. Un esagerato inneggiamento ai tunnel per rotaie, ignorando ogni altra cosa, compresi i viadotti crollati recentemente per anzianità e mancata manutenzione, nonché la drammatica rovina del ponte Morandi.

Gli stessi numeri inerenti i partecipanti alla manifestazione di piazza Castello sono tipici degli eventi politici organizzati dalla classe che comanda. Infatti le manifestazioni indette da movimenti di Destra o para imprenditoriali mostrano il curioso fenomeno della lievitazione. Regolarmente, ai primi dati ufficiali realistici, forniti dalle istituzioni competenti, seguono sempre nuove stime più generose e favorevoli agli organizzatori stessi. A Torino infatti la manifestazione Si Tav contava inizialmente, secondo stime ufficiali, 15.000 persone (ore 11,40 a evento già concluso) per poi raggiungere all’ora di pranzo il numero di 45.000 cittadini (cifra incompatibile con una porzione di piazza che nella sua parte libera da fontane ed edicola misura circa 8.000 mq utili e non 11.000 come affermano le fonti imprenditoriali).

Un effetto fisico curioso da cui è invece immune la Sinistra, specialmente quella cosiddetta radicale, la cui partecipazione di militanti alle manifestazioni è sempre sottostimata e dal potere di trattativa pari allo zero assoluto (i cittadini non blasonati possono sfilare in 80.000 ma le istituzioni non battono ciglio, neppure rispondono). Il corteo che celebra il 25 aprile ne è prova: l’iniziativa in media occupa un’importante porzione di piazza Castello, ma i resoconti giornalistici elencano ogni anno 2.000 partecipanti.

In sintesi il Tav ha davvero poteri magici. Non solo moltiplica il numero di coloro che scendono in piazza nel suo nome, ma accentua la caratteristica degli italiani di essere un popolo dalla memoria cortissima. I danni ambientali subiti dal Mugello, ad opera dei cantieri Tav, sono stati elencati addirittura da Renzi nel periodo della prima rottamazione, eppure subito dimenticati dalla coscienza collettiva. La stessa possibilità di trasportare merci ad alta velocità è stata contestata sovente da numerosi ingegneri ferroviari, per il conseguente problema delle necessarie continue manutenzioni della massicciata, ma nell’indifferenza assoluta di chi vuole a tutti i costi il Tav. L’alta velocità infine trasforma le istanze di Destra in desideri del Centro Sinistra.

Torino è sempre stata una città/laboratorio politico. Nell’ex capitale sabauda sono nati il Socialismo e la stagione delle Giunte Rosse, e di tanto in tanto si è manifestata, uscendo dall’ombra più fitta, la maggioranza silenziosa. I colletti bianchi appaiono dal nulla, colpiscono spietatamente e spariscono lasciando numerose lacerazioni sul tessuto comunitario. Squarci profondi che dividono i cittadini, causati da una lotta che, in questo caso, è tutta interna alla grande borghesia (piazza borghese contro giunta borghese) ma pesa sulle spalle di chi si pone il problema di quale pianeta consegnare in futuro ai propri figli.

L’ultima ferita non si è rimarginata neppure dopo 38 anni dal colpo che l’ha inferta, causando infezioni gravi e debolezza al corpo della città. Oggi occorre imparare da quel 1980 e curare subito tagli e contusioni scindendo il bene dal male, la finta Sinistra da quella vera (seppur quest’ultima è ancora allo stato gassoso), e consci di una piazza che fa anch’essa discriminazioni: il borghese con pacata arroganza ottiene, il lavoratore può protestare e disperarsi ma torna sempre a casa a mani vuote.

Chi crede ancora ai valori sociali è tempo reagisca. Cucire le lacerazioni e pensare al futuro per una nuova società di tutela ambientale, di persone uguali e sollevate da ogni iniquità tra cittadini: utopia realizzabile.

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