La lezione di Di Maio

I giornali in questi ultimi giorni si sono scatenati sulle presunte irregolarità commesse dal papà dell’attuale vicepremier Di Maio. Diciamo presunte, perché bisognerà aspettare le eventuali condanne della magistratura per essere certi dei reati. Vale ancora la presunzione di innocenza. Per un partito che ha fatto dell’onestà e della gogna mediatica per i presunti colpevoli di reato senza attendere le sentenze la sua ragion d’essere, è il naturale prezzo da pagare: chi di spada ferisce, di spada perisce. Bisogna aggiungere che le responsabilità sono sempre individuali e un reato del padre non può essere ascritto al figlio.

La faccenda però si presta ad alcune considerazioni. I presunti reati di Di Maio senior sarebbero aver fatto lavorare in nero delle persone, abusivismo edilizio e evasione fiscale. Il vicepremier più che arrabbiarsi con il padre, per la figura peregrina che ci ha ricavato di fronte a 60 milioni di italiani, dovrebbe parlarci e cercare di capire il perché di certi comportamenti e forse si sarebbe reso conto che è il caso di rivedere le sue posizioni politiche e di conseguenza indirizzare meglio i suoi accoliti. Credo di non dire niente di scandaloso affermando che la gran parte degli italiani abbiano svolti lavori in nero o fatto lavorare in nero e se non direttamente avranno sicuramente un parente o un amico che lo abbia fatto e così per l’evasione fiscale e l’abusivismo edilizio. Questo non perché l’italiano sia antropologicamente incline a delinquere, ma per la complessità e farraginosità di leggi e regolamenti italiani. Anche allargare una finestra richiede un progetto e l’intervento di un tecnico che deve presentare la pratica in comune. Costa più la burocrazia che il lavoro in sé e la tentazione di fare saltando la burocrazia e i relativi costi è forte. Anche perché molti di questi atti è difficile configurarli come reati: modificate una finestra in una propria proprietà, per continuare con lo stesso esempio, non pare proprio qualcosa di cui chiedere il permesso. Lo stesso ragionamento è valido per il lavoro nero e l’evasione fiscale. Non è il cittadino italiano ad essere propenso a delinquere, ma è lo stato italiano a creare le condizioni affinché il cittadino sia costretto a infrangere la legge per sopravvivere. Da questo punto di vista il vicepremier più che incavolarsi con il padre, dovrebbe parlarci e cercare di capire le difficoltà che un imprenditore incontra nel suo lavoro di tutti i giorni e gli ostacoli che gli crea lo stato e fare delle riforme per rimuoverli. Uno stato meno nemico del cittadino faciliterebbe la vita a tutti e farebbe diminuire reati quali evasione fiscale e abusivismo edilizio. Da una vicenda del genere anche i puri dei 5 Stelle dovrebbero imparare a dismettere la loro foga giustizialista, capire che prima di una condanna una persona rimane innocente per quanto indagata ed infine che una persona che sbaglia non è sempre condannabile, ma può essere vittima di circostanze più grandi come le leggi ingarbugliate dello stato italiano. In fondo chi non fa, non sbaglia sicuramente, ma chi fa può sbagliare.

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