TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, tre strade per uscire dallo stallo

Natale senza segretario e assemblea a gennaio per eleggere il nuovo vertice. Lo sconfitto Marino resta favorito. Diplomazie al lavoro tra Torino e Roma per evitare un ballottaggio al buio. L'appello di Chiamparino a una soluzione unitaria

Anno nuovo, segretario nuovo. Resterà senza guida ancora per tutte le festività natalizie il Pd piemontese e solo nel 2019 l’assemblea deciderà quel che i gazebo non sono stati in grado di decidere. Al termine delle primarie di ieri, in cui hanno votato oltre 13mila persone, dato tutt’altro che trascurabile per un partito male in arnese, nessuno dei tre concorrenti ha ottenuto la metà più uno delle preferenze, condizione imprescindibile per una incoronazione diretta. Il senatore renziano Mauro Marino, sostenuto dalla maggioranza dell’establishment democratico e proiettato verso un trionfo annunciato, si è fermato invece molto prima del traguardo, al 41,5 per cento; il ricercatore biellese Paolo Furia, rappresentante dalla sinistra interna, è arrivato secondo con il 36, mentre la candidata di area cattolica Monica Canalis ha ottenuto un lusinghiero 22,5.

L’elettorato dem ha preferito una proposta di rinnovamento (sia Furia sia Canalis sono under 40), penalizzando un parlamentare di lungo corso, con cinque legislature sul groppone, già presidente della Sala Rossa negli anni Novanta: su di lui si sono intrecciate dinamiche nazionali e logiche locali. È una zavorra troppo pesante, di questi tempi, l’etichetta di candidato renziano, soprattutto nei giorni in cui l’ex leader medita di abbandonare la “ditta” per aprirne una sua. E poi c’è stato lo scarso traino dei maggiorenti a lui vicini – da Mauro Laus alla famiglia Gallo, da Davide Gariglio a Silvia Fregolent – che al di là di qualche post su facebook non sembrano essersi scapicollati per il loro candidato. Quella di Marino è una candidatura che non ha scaldato i cuori, asettica, vissuta dalla base come eccessivamente di apparato: i cattolici stavano da un’altra parte (con Canalis) e grazie anche a qualche telefonata mirata dell’ex segretario Gianfranco Morgando sono tornati a mobilitarsi, la sinistra era con Furia e non sembra aver inciso in modo sostanziale la presenza tra i supporter di Marino degli ex civatiani guidati da Daniele Viotti.

Una cosa appare certa. Se questo voto, per Marino, doveva trasformarsi in un trampolino di lancio in vista di una corsa a sindaco di Torino nel 2021, il risultato è una Caporetto su tutti i fronti. Proprio nel capoluogo, infatti, è stato sconfitto da Furia, residente a Biella, attestandosi al 36 per cento, cinque punti in meno della media regionale. E non è andata meglio neanche fuori dove a mitigare la delusione ci hanno pensato i seggi di Moncalieri e Nichelino, mentre tra le province l’unica in cui il parlamentare caro a Maria Elena Boschi riesce a vincere bene è Novara, in cui la fassiniana Franca Biondelli dimostra di avere decisamente più benzina rispetto alla presidente del partito piemontese Giuliana Manica.

E ora che succederà? La commissione per il congresso si riunirà mercoledì e in quella sede verrà individuata la data dell'assemblea, che si svolgerà verosimilmente nel week end tra il 12 e il 13 gennaio o, al più tardi, in quello successivo. Le diplomazie hanno un mese di tempo per trovare una soluzione, la meno traumatica possibile, anche perché in assenza di un accordo politico il regolamento prevede il ballottaggio tra i primi due classificati (Marino e Furia) a scrutinio segreto e a quel punto il voto dei quattrocento delegati rischia di diventare incontrollabile.

Sono tre gli scenari attualmente possibili.

1 – L’“Opzione Martina”. Con il sostegno della pattuglia renziana all’ultimo reggente del Nazareno, Marino e Canalis potrebbero ritrovarsi dalla stessa parte alle primarie nazionali (ammesso che il senatore non scelga Roberto Giachetti, una possibilità a oggi piuttosto remota). A questo punto la mediazione si giocherebbe quasi esclusivamente nella grande casa degli ex popolari. Da Cuneo e Verbania sono arrivati segnali forti e chiari allo stato maggiore renziano e ora potrebbe toccare all’ex segretario Gariglio riannodare i fili con i colleghi parlamentari Mino Taricco ed Enrico Borghi, che avrebbero preferito di gran lunga Luigi Bobba a Marino e lo hanno fatto capire prima e durante le primarie, almeno stando ai risultati. Contemporaneamente Graziano Delrio, principale sponsor di Martina e ufficiale di collegamento con alcuni renziani, potrebbe tentare di smussare gli spigoli di Stefano Lepri e Canalis rispetto a Marino: se la moral suasion facesse effetto, come probabile, la convergenza tra le due mozioni sarebbe cosa fatta. Magari con Marino segretario e Canalis vice.

2 – Il “lodo Chiamparino”. Tutti dentro, segreteria unitaria come proposto pubblicamente dal governatore. In questo caso spetterebbe a Marino, con un’operazione territoriale, coinvolgere gli altri due candidati in un percorso comune, per evitare fratture in vista della dura campagna elettorale per le regionali. Una soluzione di buon senso, dettata soprattutto dall'avvicinarsi della scadenza elettorale delle Regionali, più volte auspicata da Sergio Chiamparino: un appello però finora caduto nel vuoto.

3 – Il diavolo e l’acqua santa. Lo scenario numero tre è anche quello politicamente più ardito e potrebbe materializzarsi qualora la frattura tra ex popolari risultasse insanabile e Lepri non ne volesse proprio sapere di dare i suoi voti a Marino. Così potrebbe consumarsi il matrimonio tra diavolo e acquasanta: i voti di Canalis al “sinistro” Furia che così diventerebbe segretario. Un’operazione che politicamente “non avrebbe senso”, ma che a oggi nessuno si sente di escludere.