Il Piemonte e il centrosinistra

Diciamocela tutta. La coalizione di centrosinistra in questi ultimi anni è stata sostanzialmente azzerata. Certo, dal 2015 in poi si sono perse praticamente tutte le elezioni, tanto a livello locale quanto a livello nazionale. Un risultato frutto di una strategia politica che individuava nella “vocazione maggioritaria” del Partito democratico il cardine dell’annullamento dell’alleanza. Una strategia, è sempre bene per onestà intellettuale non dimenticarlo, condivisa e sostenuta da tutti i maggiorenti del partito che, com’è altrettanto evidente, erano quasi tutti renziani.

Ora che Renzi è caduto politicamente in disgrazia e quasi tutti i suoi tifosi e supporter per lunghi cinque anni, a partire da Torino e dal Piemonte, si sono prontamente riciclati sotto altri potenziali leader – possibilmente vincenti alle prossime primarie – è ritornata di attualità la necessità di ridare fiato e voce ad una alleanza di centrosinistra. Una alleanza, appunto – come recita la solita litania – plurale, riformista e democratica. Ma, e qui sta il punto centrale, con chi si ricostruisce una alleanza? Certo, c’è la candidatura alla presidenza dalla Regione Piemonte – cioè il presidente uscente Sergio Chiamparino – accompagnata dal suo indiscutibile “valore aggiunto” dovuto ad una lunghissima militanza politica e ad una presenza ormai più che trentennale nelle varie istituzioni locali e nazionali. Ma, come tutti ben sappiamo, il sistema elettorale regionale non è un referendum per eleggere direttamente il presidente ma un sistema squisitamente e rigorosamente proporzionale dove la presenza dei partiti è centrale e decisiva per il risultato finale della competizione.

Ecco perché il capitolo della coalizione adesso, piaccia o non piaccia, diventa centrale. E proprio l’ex centrosinistra su questo versante paga il prezzo più caro. Per la strategia politica di tutto il Pd perseguita per anni da un lato e per la difficoltà di dar vita, oggi, ad un progetto politico altrettanto competitivo e allo stesso tempo sufficientemente innovativo per non apparire solo una grigia ed indistinta sommatoria di sigle e di contenitori. E la vera sfida politica, a partire proprio dal Piemonte, sarà quella di costruire una alleanza che sappia unire ciò che resta dei partiti tradizionali – al di là della propaganda del Pd che promette di “ripartire” ogni settimana – e una rete civica dei territori, dell’associazionismo laico e cattolico, degli amministratori locali e degli interessi settoriali e tematici che colgono alcune istanze dei cittadini senza, però, farsi rappresentare dai partiti e dalla sigle del passato.

Certo, restano pochi mesi per tentare questa impresa politica perché, a differenza del centrodestra che ha una coalizione definita e dai contorni chiari ed immediatamente percepibili, l’ex centrosinistra deve sostanzialmente ripartire dalle fondamenta. È una impresa, tuttavia, possibile. Purché, per l’ennesima volta, non prevalgano la solita arroganza politica da un lato e la presunzione culturale dall’altro pensando di rappresentare sempre e comunque la “miglior società” a prescindere. Accusando chi non la pensa come te di essere sostanzialmente un “barbaro” o un analfabeta o un ignorante.

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