MANOVRA

Pensionati contro il Governo

I sindacati annunciano la mobilitazione contro i tagli presenti nella manovra. Appuntamento davanti alle prefetture piemontesi per il 3 e 4 gennaio. Nel mirino il mancato recupero dell'inflazione, a partire dagli assegni più alti

Pensionati in piazza il 3 e il 4 gennaio per protestare contro i tagli alle pensioni contenuti nella manovra del Governo. Ad annunciare la mobilitazione le organizzazioni sindacali del Piemonte – Spi Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil – che hanno dato appuntamento davanti alla prefetture della regione. La sforbiciata prevista dall’secutivo giallo-verde è di 2,5 miliardi in tre anni. Per le segreterie regionali delle organizzazioni sindacali dei pensionati le misure previste nella legge di bilancio 2019 «sono profondamente ingiuste perché colpiscono una categoria particolarmente debole della società. Una manovra presentata per abolire la povertà invece di intervenire per creare lavoro, stimolare la crescita e lo sviluppo produce una riduzione del reddito, ridistribuendo povertà, negando ancora una volta la rivalutazione delle pensioni». Per questo Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil del Piemonte invitano le loro strutture territoriali a organizzare presidi e iniziative d’informazione davanti alle prefetture e richiedere di essere ricevuti per spiegare «le motivazioni del grave malcontento che è alla base della mobilitazione».

Ma chi saranno i più colpiti? «Nessun pensionato prenderà un euro di meno nel 2019 rispetto al 2018, tranne quelli “d’oro”», ha assicurato il vicepremier Matteo Salvini, l’altro giorno, durante una diretta su facebook. Si tratta però di una mezza verità, Infatti, il confronto non va fatto con il 2018 e molti pensionati riceveranno, alla fine, meno di quello che avrebbero potuto prendere in un primo tempo. A far la differenza, in questa vicenda, è una data: il 31 dicembre 2018. Quel giorno, infatti, sarebbe decaduta la norma che rivalutava le pensioni (con aumenti legati al maggior costo della vita: è la cosiddetta “perequazione”) in base a 5 fasce di importo. E si sarebbe dovuti tornare alla situazione in vigore a fine 2011, con la legge 388 del 2000 che prevedeva solo 3 fasce di aumenti: piena al 100% - solo per gli assegni fino a 3 volte il minimo, ovvero 1.522 euro lordi, come d’altronde sempre è stato in questi anni -, al 90 e al 75%. Fu il governo Monti a disporre, dal 1° gennaio 2012, il blocco della perequazione, sempre sulle pensioni oltre tre volte il trattamento minimo di 507 euro. Arrivò poi il governo Letta che decise, dal 1° gennaio 2014 (con la "legge 147"), un sistema di rivalutazione suddiviso in 5 scaglioni, meccanismo che poi con la legge di Stabilità 2016 fu prorogato sino al 31 dicembre 2018.

Insomma, col nuovo anno si sarebbe dovuto tornare all’antico. E, dopo 7 anni di penitenza, anche i pensionati sopra i 1.500 euro lordi sicuramente speravano in un trattamento più benevolo nella “Manovra del popolo” da parte di un governo schierato (sulla carta) per i pensionati. Nel maxi-emendamento, invece, il governo Conte ha allungato le fasce di importo da cinque a sette: si va dalla rivalutazione al 100%, sempre per le pensioni fino a 1.522 euro lordi, fino al 40% di quelle sopra 4.563 euro lordi (9 volte il minimo). Per queste ultime quindi, pur d’importo elevato, è corretto dire che c’è - nell’adeguamento - un taglio del 60% rispetto a quanto i pensionati speravano di prendere nel 2019.

A detta di Salvini nel 2019 «i pensionati con 800 euro avranno 9 euro in più, quelli con mille 11 euro in più, quelli con 1.200 riceveranno 13 euro in più», e così via fino ai pensionati da 2.500 euro che avranno «21,2 euro in più». Tutto corretto, se lo si vede dalla parte del bicchiere mezzo pieno. Altrettanto corretto però sostenere che un cittadino con una pensione da 2.100 euro, dopo la cura della “manovra Di Maio-Salvini” vedrà sfumare nel proprio assegno quasi 5 euro al mese rispetto a quanto avrebbe potuto ricevere dopo la fine del “meccanismo Letta” (che, stando alla normativa in vigore, doveva cessare), per una perdita cumulata di 56,16 euro nell’anno. La Uil ha calcolato, in un suo studio, che per una pensione lorda pari a 6 volte il minimo (3.042 euro lordi) il mancato recupero dell’inflazione si traduce in una perdita di 167 euro annui, dal 2019 e per il resto della vita.

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