Il futuro è dire Sì

In questi 19 anni abbiamo visto tanti provvedimenti, tante riforme o riformette ma il totale, come diceva il principe De Curtis, ci vede con un pil procapite sceso di 20 punti rispetto alla media europea, una situazione sociale pesante e pericolosa e con la condanna che porta i nostri neolaureati a cercare all’estero un lavoro per il loro domani.

Le previsioni dicono che senza interventi forti avremo altri tre anni di crescita lenta. Cosicché la metà del Paese impoverita dovrà continuare a vivere al di sotto di come si viveva nel 2007 (l’anno prima della crisi).

Il Paese si è impoverito perché dal 2010 in poi sono stati via via tagliati gli investimenti pubblici e in particolare quelli nelle infrastrutture di trasporto che, lo voglio sottolineare ai molti che non lo hanno ancora capito, sono quelli che possono generare più di altri la crescita del pil.

È evidente dopo questi risultati deludenti che occorra puntare molto di più sugli investimenti nelle infrastrutture in particolare quelle che ci connettono direttamente con la rete europea e mondiale di trasporto merci e passeggeri. Perché se l’economia italiana in questi anni ha perso punti importanti rispetto alla media europea, l’economia europea e quella mondiale sono cresciute a un tasso annuo doppio o triplo. La crescita dell’economia mondiale ha beneficiato le nostre esportazioni che in questi anni difficili ci hanno salvato da un calo drammatico con pesantissime conseguenze umane e sociali. Perché come Cavour aveva capito 170 anni fa i Paesi crescono di più se sono in grado di contendere i traffici economici mondiali. L’economia olandese ce lo dimostra.

Il nostro Paese, nonostante tutto, ha quattro punti di forza importanti su cui puntare di più: il turismo, la manifattura, il made-in, l’enogastronomia. Quattro settori che ci vedono leader nel mondo. Per dirla in modo che capiscano tutti, se oggi le nostre aziende vendono a un mercato di 1 miliardo di persone domani con infrastrutture di trasporto moderne e meglio connesse col mercato mondiale potremo venderli a un mercato di oltre 3 miliardi di persone e domani a 9 miliardi di persone.

Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di ottenere tra l’aumento del turismo, della logistica e della crescita delle esportazioni almeno 1 punto di pil in più ogni anno. Ecco perché l’analisi costi-benefici in corso al Mit è perlomeno limitata perché è chiaro che la migliore connessione col mercato mondiale ci ripagherebbe la Tav, il Terzo Valico, la Pedemontana, la nuova diga al porto di Genova, etc.

Se questo è l’obiettivo su cui puntare, l’interesse generale da perseguire è chiaro che il Movimento Sì Tav che, senza neanche un manifesto e in soli otto giorni, ha riempito come mai prima la piazza Castello di Torino lo scorso 10 novembre, radunando per la prima volta dopo vent’anni di No a tutto, l’Italia del Sì  è la maggiore speranza e novità per il rilancio economico e sociale del nostro Paese, rispetto a chi  non ha capito per tempo il declino di Torino e a chi non ha saputo in questi anni accelerare la realizzazione della Tav.

Con queste considerazioni sarebbe bello e utile che messe da parte ogni interesse particolare il Governo del cambiamento si confrontasse perché con i No non solo non si va da nessuna parte ma si offrirebbe alla metà del Paese impoverita da questa lunga depressione economica solo la prospettiva preoccupante dei gilet gialli.

Se ci rifacciamo ai problemi e alle soluzioni individuate dai Cavour, Cattaneo, da De Gasperi o da grandi amministratori locali come il prof. Giuseppe Grosso, forse individueremo soluzioni all’altezza dei problemi e delle opportunità offerte dal mondo che cambia. Il 150° anniversario dell’apertura del Canale di Suez e il 148° anniversario dell’apertura del primo Traforo ferroviario del mondo, il Frejus, dovrebbero aiutarci a dire Sì alla crescita e No alla decrescita.

Buon Anno.

*Mino Giachino, Sì Lavoro, uno degli organizzatori della manifestazione Sì Tav

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