CULTURA & GIUSTIZIA

Spese pazze, conti e bandi truccati: ecco le accuse al Salone del libro

Nel mirino dei magistrati la vecchia gestione della fiera. All'ex presidente contestato un peculato di oltre 850mila euro. Gli inquirenti imputano agli indagati appalti manipolati, bilanci falsati, fughe di notizie e anche la truffa per ottenere i buoni pasto

Peculato, gare truccate e bilanci falsati. Sono queste le principali ipotesi di reato su cui si basa l’inchiesta del Salone del libro, chiusa dopo quasi quattro anni dal suo avvio. Questa mattina la procura ha notificato a 29 indagati l’atto conclusivo dell’indagine. Quello che è emerso è una gestione molto pasticciata delle finanze della Fondazione per il libro, alla quale gli enti pubblici e poi le banche hanno dovuto rimediare, spesso a spese dei fornitori e dei dipendenti. L'inchiesta è chiusa, undici dei 29 indagati hanno saputo di essere indagati soltanto oggi e per loro, ancora di più rispetto a chi è stato interrogato in passato, saranno fondamentali i prossimi venti giorni per poter portare all'attenzione della procura materiale per cercare di ottenere l'archiviazione ed evitare il rinvio a giudizio.

Tutto è cominciato dal peculato contestato all’ex presidente Rolando Picchioni, il quale avrebbe speso in maniera illecita più di 850mila euro. Si tratta di soldi affidati alla fondazione da Regione, Comune e Provincia e utilizzati “per finalità personali e comunque estranee” all'attività istituzionale; spesi in alberghi, viaggi, ristoranti, multe, cioccolato (di cui sembra avere una vera passione) e altro ancora. 

Si passa poi al capitolo degli appalti, come era emerso dagli arresti del 2016. La preparazione dell’edizione 2015 era stata affidata in via diretta a Gl Events “con la fittizia motivazione dell’urgenza, così evitando di effettuare le procedure di evidenza pubblica”, ma anche con “collusioni e altri mezzi fraudolenti” e per questo la procura contesta la turbativa d’asta all’ex sindaco Piero Fassino, all’assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi, Picchioni, all’ex consigliere Roberto Moisio, al dg di Gl Events Italia Regis Faure e al direttore commerciale del Lingotto Roberto Fantino. A loro e all’ex presidente della Fondazione Giovanna Milella è contestato questo reato anche per la predisposizione del bando per il triennio 2016-2018: nel 2015 era stato stipulato un contratto triennale d’affitto del Lingotto per 1,16 milioni di euro l’anno e poi nel bando di gara erano state inserite una serie di clausole a favore di Gl Events Italia. 

La procura contesta poi a Picchioni di aver cercato e ottenuto informazioni riservate sulle gare quando ormai aveva lasciato la presidenza da alcuni mesi. Il 30 ottobre chiedeva e otteneva da Nicola Gallino, addetto stampa della Fondazione, e da Moisio, alcune informazioni sulla presentazione delle domande. Per questo i tre sono indagati anche di rivelazione di segreto d’ufficio.

Altre due gare pubbliche sarebbero state truccate. Una è quella per la stampa dei programmi cartacei (indagati Picchioni insieme a Christian Esposito, amministratore della Print Time). L’altra è quella per la scelta di Intesa Sanpaolo come nuovo socio fondatore, decisione avvenuta dopo una trattativa privata condotta da Fassino, formalizzata con due bandi realizzati dai legali incaricati da Fassino, Michele Coppola (quale direttore “Arte, cultura e beni storici” dell'istituto bancario) e Milella, gli avvocati Andrea Lanciani e Claudio Piacentini. Per la procura erano bandi che “di fatto recepivano gli accordi già avvenuti tra Intesa Sanpaolo e Fondazione ed escludevano altri soggetti potenzialmente interessati”.

Il capitolo sui falsi in bilancio è quello più corposo. Gli inquirenti hanno preso in considerazione quelli del periodo 2010-2015 in cui è centrale il valore del marchio del Salone, considerato sovrastimato (1,8 milioni di euro) in modo tale da far quadrare attivi e passivi nei rendiconto. Per questa vicenda, sono indagati a vario titolo per diversi casi, ma tutti di falso ideologico in atto pubblico, Picchioni, Milella, Parigi, l’esperto che ha valutato il marchio Pier Angelo Biga, il commercialista della Fondazione Maurizio Geninat Cosatin, la dirigente Paola Casagrande, il responsabile del settore promozione beni librari, archivistici, editoria Eugenio Pintore, il direttore centrale “Cultura ed educazione” del Comune Aldo Garbarini e sei revisori dei conti (Alessandro Braja, Paolo Ferrero, Anna Maria Mangiapelo,  Raffaella Maniello, Gianluigi Strambi e Lidia Maria Pizzotti).

All’interno di questo capitolo, Picchioni e il presidente del collegio dei revisori Ferrero devono rispondere di falso ideologico in atto pubblico perché nel 2011 hanno attestato per cinque volte di aver regolarmente iscritto nel bilancio i fondi erogati da provincia e città.

Non è tutto. Nell’inchiesta finisce anche un episodio strano che aveva portato la procura sulla pista del Salone: il 7 aprile 2014, nell’ambito di un’altra inchiesta, la polizia giudiziaria doveva perquisire l’abitazione di Picchioni e lui allertava la sua segretaria, Laura Scarzello, di cancellare la memoria del suo computer, operazione poi eseguita da Massimiliano Montaruli e, materialmente, Niccolò Gregnanini. Per questo sono accusati di “danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità”, punito da uno a quattro anni.

C’è poi la nomina di Maria Elena Rossi (non indagata) a direttore di Dmo Turismo Piemonte, per la quale Parigi e Alberto Ansaldi (amministratore di Dmo) sono indagati di turbativa d’asta. E infine la presunta truffa di Scarzello e Montaruli che, per far ottenere a quest’ultimo i buoni pasto (per un valore totale di 781 euro nel corso del 2014), avrebbero registrato manualmente orari di ingresso e uscita diversi da quelli reali.