Rottamare l'esperienza

Scoprire l’acqua calda è sempre un’esperienza negativa, poiché fonte di frustrazione e imbarazzo. Al contempo è anche un importante passo avanti nella formazione della propria conoscenza, a scapito delle facili illusioni.

I rapporti politici sono costantemente molto complessi, così come è assai complicato amministrare la stessa res pubblica: difficoltà che si annidano in ogni piega della P.A. e che regolarmente si manifestano con livelli di problematicità al di sopra delle previsioni rosee di chi si candida alle elezioni.

Rivestire ruoli apicali nel settore pubblico non è paragonabile agli stessi livelli nel privato: essere un bravo manager di impresa spesso non coincide con l’essere altrettanto efficace nei panni di assessore, ministro o semplice consigliere.

L’annunciata rivoluzione pentastellata è finita su una rotta pericolosa, su coordinate che la stanno facendo rovinosamente incagliare in bassi fondali. L’utopia del “Nuovo” in sostituzione del “Vecchio” (decrepito) si infrange ogni giorno contro la dura realtà del “Tengo famiglia” e del diffuso narcisismo individuale. La teoria grillina si sfalda appena inizia l’approccio al governo delle Istituzioni democratiche.

L’antipolitica ha dominato la scena mediatica di questi ultimi anni. Il risultato dell’incessante martellamento assestato sulla classe dirigente dell’ancien regime ha preso la forma della cosiddetta “Rottamazione”. Una sorta di “Caccia alle streghe” diretta a colpire i politici professionisti e perseguita nella convinzione, insita nelle ultime generazioni accolte dai movimenti antisistema, di essere pienamente autosufficienti. Tutti possono scendere in politica, secondo la nuova dottrina, e chiunque può candidarsi per ricoprire anche ruoli importanti dell’amministrazione: gli aggiustamenti al vuoto di conoscenza dei neoeletti intanto verranno affidati a taumaturgici consulenti di staff (a cui in realtà si affida il potere vero e proprio).

È sempre possibile programmare sulla carta la fine di un sistema, ma senza le persone capaci di manovrare nella sala di comando, ogni buon proposito rivoluzionario finisce in drammatica farsa, trasformando anche i soggetti più illuminati in elementi decorativi.

Roma e Torino offrono a riguardo due casi scolastici. In entrambe le grandi metropoli la prima cittadina si è affidata a stretti collaboratori per trovare sostegno nell’amministrazione, i quali hanno purtroppo immediatamente messo in grave imbarazzo la giunta e il suo vertice.

La sindaca della Capitale ha affrontato attimi molto difficili a causa delle forti polemiche, nonché delle inchieste giudiziarie aperte, in seguito all’assunzione nel suo staff di figure decisamente poco limpide, mentre la collega torinese ha dovuto reggere i contraccolpi del “Caso Giordana” e del recente “Caso Pasquaretta”, funzionari un tempo potenti e oggi caduti in disgrazia. Vicende devastanti poiché fautrici di sospetti e profonde divisioni tra sostenitori e militanti del M5s.

Nell’antico sistema le assunzioni nelle squadre del sindaco e degli assessori avvenivano di regola sulla base di rapporti fiduciari, ma su tutto vigilava (di norma) il partito di appartenenza. Gli stessi membri della giunta in passato erano selezionati valutando la capacità politica di interagire con il territorio e le sue numerose sfaccettature. Il nuovo corso invece si affida esclusivamente alle relazioni personali, instaurate nel tempo con individui più meno affidabili, mentre le deleghe di governo vengono assegnate valutando i curriculum vitae di candidati sollecitati tramite avvisi “affissi” sul web.

Modelli di stampo privatistico che male si adattano a quello Pubblico, dimostrando di continuo come non bastino due lauree e la conoscenza di tre lingue per maturare capacità nella gestione del territorio e della cittadinanza: “la scoperta dell’acqua calda”. L’arte del governo muore nel nome di una visione impiegatizia dell’azione amministrativa, spegnendo la passione e riducendo tutte le decisioni a banali valutazioni di bilancio.

Sinceramente, non immagino scheletri nell’armadio dell’esecutivo Appendino, al contrario che in passato dove qualche ossicino qui e là si sarebbe potuto trovare con relativa facilità, ma certamente riscontro molte ingenuità derivanti proprio dalla visione di una Politica deprivata delle ideologie (quindi della progettualità sociale) e di stampo tristemente imprenditoriale.

Ancora una volta, nella fretta di cambiare per cambiare, è stato gettato il bambino tenendo l’acqua sporca. Sparisce di conseguenza anche la capacità di indignarsi, se non nei riguardi dei nemici utili al mantenimento dello status quo, ma in compenso i partiti continuano silenziosamente a occupare la Rai (vedi la scandalosa contrapposizione Baglioni-Direttore De Santis sul tema migranti) e tutte le altre aziende partecipate.

Fabrizio Del Noce (un tempo giornalista televisivo) recentemente ha dichiarato in pubblico che la sua ricca pensione non deve essere ridotta poiché “sudata”, proponendo invece di aggredire gli immeritati assegni sociali. La Meloni sembra seguire questa innovativa teoria antisociale sostenendo come sia doveroso finanziare il Tav prelevando i fondi dal reddito di cittadinanza.

Affermazioni paragonabili a quelle dei nobili annoiati alla vigilia della Rivoluzione Francese (prima o poi qualcuno proporrà anche la distribuzione di croissant a chi vive in povertà) e cadute nell’indifferenza della Politica/Azienda nonché della devastata opinione pubblica. A forza di rinnovare ogni cosa è stato compiuto il miracolo di riportare le lancette della Storia indietro di molti decenni: un ritorno al passato di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Il “Nuovo” temo abbia l’acre sapore del “Vecchio”.   

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