POLVERE DI (5) STELLE

"Se parte la Tav cade Appendino"

Tenere la sindaca in ostaggio a meno di tre mesi dal voto europeo (e regionale), minacciando la crisi al Comune di Torino: questa la clamorosa mossa dei grillini piemontesi per indurre Di Maio a non cedere sui bandi Telt

Per Chiara Appendino scatta lo showdown. La sindaca lo sa, sulla Tav anche lei rischia di saltare. Da giorni l’ala più intransigente del gruppo M5s tiene tutti sotto pressione: prima le foto dal balcone di Palazzo Civico con tanto di cartelli per chiedere lo stop ai bandi, poi i video, pubblicati sulle pagine social di molti consiglieri. La tensione sale con il passare delle ore e la sensazione è che la scissione meditata da Maura Paoli e Daniela Albano non sia rientrata ma solo rimandata. Serve il casus belli e le due sanno bene che sulla Tav la protesta nei confronti del governo gialloverde potrebbe contagiare un’area ampia della compagine in Sala Rossa. “Non siamo sole” è il titolo di un post rivelatore, se letto in filigrana, con cui la consigliera Paoli ha spiegato, lunedì scorso, che “questo è il momento di restare uniti e compatti per scongiurare il pericolo del Tav”, la madre di tutte le battaglie, quella attorno alla quale coagulare gran parte dei colleghi e degli stessi attivisti di Torino e della Valsusa. Perché nel capoluogo, Movimento 5 stelle e movimento No Tav sono di fatto due sfere che si sovrappongono. Un sodalizio che ha radici profondi più che decennali se si tiene conto che alle regionali del 2010 arrivarono dalla Valsusa i voti decisivi a Davide Bono per ottenere quello storico, allora, seggio a Palazzo Lascaris.   

Questa sera a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte proverà di nuovo a cercare una difficilissima mediazione e se non la troverà, fa sapere, “si tratterà a oltranza fino a venerdì”. Il no dei grillini è fermo, sia alla Tav sia alla mini-Tav; altrettanto convinta la posizione del Carroccio sulla necessità di andare avanti sull’opera e non perdere i 300 milioni di fondi Ue sul piatto. Anche il prospettato trasferimento delle risorse risparmiate sull’alta velocità in Valsusa per la Napoli-Bari tanto cara a Luigi Di Maio si è rivelata un’arma spuntata per Matteo Salvini e non tanto per l’opposizione del suo gruppo parlamentare, composto in gran parte da deputati e senatori del Sud e quindi quasi indifferenti a una questione che sentono lontana, quanto proprio per l’intransigenza della frangia piemontese e più in generale del Nord Ovest, alla quale si è recentemente iscritto anche Beppe Grillo, mica uno qualunque.

Lunedì il cda di Telt sarà chiamato a decidere sulla pubblicazione dei bandi per 2,3 miliardi. Un eventuale semaforo verde per il MoVimento di Torino potrebbe essere deflagrante. “Questo non deve accadere. Vogliamo restare accanto agli attivisti e ai portavoce della Val Susa che lotteranno per impedire l’avvio ai bandi e all’opera. Non ci sentiamo più sole” sono le parole con cui Paoli carica di un significato anche simbolico la battaglia contro la Tav, liberando adrenalina tra attivisti ed eletti.  

Sono in tanti, infatti, che da giorni minacciano Di Maio, paventando conseguenze irreversibili. Non è un caso che lui, pur comprendendo di essersi infilato in un cul-de-sac, tiene duro sulla posizione del “No” a oltranza. Di qui la decisione dei torinesi di rendere ancor più chiara l’antifona ai vertici del firmamento pentastellato, con una iniziativa clamorosa da attuare lunedì, il giorno del Consiglio comunale e pure quello in cui il cda di Telt dovrà assumere una decisione definitiva sui bandi. È in quella sede che un pezzo significativo del gruppo di maggioranza potrebbe autosospendersi dal M5s e negare la fiducia alla sindaca: se parte la Tav cade Appendino. In questo senso la prima cittadina, già vittima di minacce e insulti, ieri, da parte dei centri sociali, ora potrebbe diventare l’ostaggio dei suoi stessi consiglieri.

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