Il valore aggiunto del candidato

I sondaggi, verrebbe da dire, sono sempre e solo dei sondaggi. Indicano delle tendenze, appunto, ma non garantiscono, com’è ovvio e persin scontato, i veri e reali rapporti di forza tra i vari partiti. Ma anche sui sondaggi non possiamo trarre indicazioni ridicole e grottesche. Mi spiego. Se la Lega di Salvini è data da tutti i sondaggi attorno al 32/34 per cento dei consensi a livello nazionale, è del tutto naturale che per raggiungere quel risultato ci saranno aree geografiche più forti, cioè il Nord, e aree territoriali più deboli, cioè il Sud. E sin qui è un ragionamento alla Catalano, come si suol dire.

Traducendo questa indicazione nelle elezioni locali, come ad esempio per le prossime elezioni regionali piemontesi, occorre capire se il “valore aggiunto” del candidato a Presidente – attraverso il voto disgiunto – può avere il sopravvento rispetto al voto secco al partito. Per esperienza personale, e al di là dei sondaggi, il “valore aggiunto” del candidato – penso alla mia doppia vittoria nel collegio uninominale di Pinerolo alla Camera dei Deputati, seppur perdente sulla carta per l’Ulivo dell’epoca – non va oltre, di norma, alla forbice contenuta tra il 2 e il 4 per cento.

Insomma, anche nelle elezioni regionali, come ci hanno insegnato le candidature autorevoli della sinistra in Abruzzo con Legnini e in Sardegna con Zedda, il cosiddetto “valore aggiunto” del candidato rispetto alla coalizione che li appoggiava non è andato oltre il 3%. E quindi, di conseguenza, quello che conta veramente sono i rapporti di forza tra i partiti che compongono le rispettive coalizioni. È ovvio che in competizioni elettorali del genere chi non si allea, come i 5 stelle o altre formazioni minoritarie, è decisamente fuori gioco. Come è altrettanto ovvio che contano, quindi, il peso e la consistenza delle alleanze. Coalizioni, cioè, che devono saper intercettare le domande e le ansie dei cittadini/elettori da un lato e che, dall’altro, devono però essere profondamente radicate nel territorio e non devono nascere per decreto da parte di un partito. Come avviene, il più delle volte, dalle parti del centro sinistra dove il Pd decide chi sta alla sua sinistra e chi sta alla sua destra. Operazioni che poi, come i numeri dimostrano, si rilevano elettoralmente e politicamente fallimentari. E le elezioni reali, dal 4 marzo del 2018 in poi, lo hanno confermato platealmente in tutta Italia.

Ecco perché, parlando del Piemonte e nello specifico della coalizione di centrosinistra, non si può addossare tutto il carico sulle spalle di una sola persona. Anche se il candidato della coalizione di centrosinistra, il presidente uscente Sergio Chiamparino è un politico navigato, di lunghissimo corso e molto popolare. Molto dipende, com’è ovvio e scontato, dal peso politico ed elettorale della coalizione e dalla consistenza e dal radicamento dei vari partiti e movimenti. Il resto vale solo per i sondaggisti del bar sport.

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