Pedaggi e Antico regime

Il pedaggio di ingresso al centro storico di Torino si annuncia con possibili ricadute economiche in capo a coloro che lo attraversano, così come un pesante svantaggio a carico dei commercianti che operano all’interno dei confini della Circoscrizione 1. La barriera a pagamento che separa e divide la città è anche una scelta politica intrisa di valori simbolici importanti, seppur non riconosciuti dai più.

Pagare per entrare nella zona storica del capoluogo subalpino è un vero e proprio ritorno al passato, nonché una conclamata violazione di alcuni diritti sanciti dalla Costituzione, tra cui la libertà di movimento dei cittadini e il principio dell’uguaglianza. Le motivazioni all’origine dell’istituzione del pedaggio sono di fatto discriminatorie anche perché guardano esclusivamente alla cura del centro città: non valutano infatti gli effetti che tale scelta farà precipitare sulle aree abitate poste a corona dell’area urbana interdetta.

Il ticket di accesso non annullerà il traffico cittadino, ma si limiterà a riposizionarlo sulle vie adiacenti ai condomini di periferia. Rumori e inquinamento verranno scaricati ai lati della città vecchia, con grave nocumento dei grandi assi viari che percorrono Torino da Sud a Nord (e viceversa).

Tra coloro che risiedono al margine della metropoli torinese inizia a manifestarsi un malumore crescente a fronte della scelta comunale di porre tornelli di accesso al cuore della città. Un malessere che alcuni hanno esternato tramite una proposta bizzarra ma non troppo: istituire al contempo un biglietto di accesso per chi attraversa la periferia. Una via d’uscita dall’assedio posto dalla Giunta all’area Ztl: un’apertura riservata esclusivamente alle élite che vivono nei quartieri nobili come in una prigione dorata.

“Assedio” è un termine militare apparentemente inappropriato alla nostra quotidianità, ma la visione di una Torino storica accerchiata, poiché protetta da alte quanto inaccessibili mura, richiama antichi scenari fatti di bastioni e cannoni puntati verso la campagna circostante: immagini che si ripresentano oggi innanzi ai nostri sconcertati occhi.

Le attività produttive stanno lentamente abbandonando l’area Ztl, lasciando purtroppo il campo ad attività in franchising (soprattutto marchi appartenenti alle grandi catene). Uffici e negozi di prossimità chiudono e al loro posto si insediano prepotentemente ricchi palazzi residenziali nonché attività di lusso. Lo slogan in voga in centro città sembra essere “escludere” anziché “includere”.

La politica è fautrice della realizzazione di quel fenomeno urbanistico che la sociologia indica con il termine di “Centrifugazione” (di cui abbiamo già scritto su questa rubrica in passato). Un sostegno evidenziato dalla spudorata svendita del patrimonio immobiliare istituzionale (ad esempio le sedi dei consigli elettivi e della burocrazia di riferimento agli esecutivi di governo) con la conseguente ricollocazione degli uffici pubblici in estrema periferia.

Il costruendo (oramai da qualche anno) palazzo regionale progettato dall’archistar Massimiliano Fuksas è forse l’esempio più eclatante del coinvolgimento di consiglieri e assessori nel processo in atto. La nuova sede regionale sorgerà in zona Lingotto, sull’ennesimo terreno un tempo di proprietà Fiat nonché proseguimento lineare di via Giacomo Dina, e sarà difficilmente raggiungibile a causa della sua distanza dalle tratte urbane del trasporto pubblico, inclusa la linea 1 metro. In compenso la struttura che tocca il cielo, o meglio lo gratta, ha consentito alla giunta piemontese di potersi sbarazzare della propria sede di piazza Castello: edificio storico, seppur bombardato durante l’ultimo conflitto mondiale, e ghiotto per chi vuole fare affari realizzando l’ennesima casa per ricchi.

Recentemente grandi edifici comunali sono stati trasformati in unità abitative messe sul mercato a prezzi simili a quelli delle grandi capitali europee (in primis Parigi). Vendite perfette per trasformare l’area Ztl in un villaggio esclusivo, riservato a pochi. L’istituzione contemporanea di un biglietto di ingresso contribuirà ulteriormente a certificare lo status assegnato al centro città: luogo, o forse “non luogo”, circondato da porte vigilate e abitato da cittadini impegnati nella gestione del potere e della ricchezza locale. Un centro città uguale a tutti gli altri in Europa, dove lo struscio del sabato garantisce buoni incassi alle aziende globali, ossia ai grandi marchi (della ristorazione e dell’abbigliamento) che si incontrano anche Budapest come a Oslo, oppure passando per Parigi. 

Il modello di società feudale si riaffaccia dall’oscurità medioevale. Il borgo commerciale protetto dal castello ducale (o baronale) spalanca i suoi pesanti portoni in ferro e legno esclusivamente a chi può pagare il permesso di ingresso diurno (tollerando al contempo lo stanziamento notturno chi dorme sulle strade).

I senza tetto “veri”, insieme a quelli organizzati nell’esercizio della questua, riportano in auge i protagonisti del romanzo di Victor Hugo “I Miserabili”, contribuendo anch’essi a trascinare le lancette del tempo indietro di oltre un secolo. La pietà sociale (principio alla base della beneficienza) accompagna il disagio accolto dai marciapiedi prospicienti i palazzi del potere economico e finanziario, consegnando volutamente l’immagine di un lusso tollerante e dal volto umano seppur protetto dai nuovi bastioni cittadini.

In un tal contesto la riproposizione della pena di morte, cassata in Italia già ai tempi del Codice penale firmato da Giuseppe Zanardelli (1889), sarebbe il giusto compendio alle riforme orientate al passato più cupo e lontano. Il recente convegno di Verona insegna come sia facile tornare alle barbarie, mentre costa sempre lacrime e sangue sconfiggere la reazione per conquistare spazi di civiltà e uguaglianza.

Il pedaggio è tornato mentre le gilde, ossia le corporazioni, non sono mai sparite dall’organizzazione del lavoro (ancor oggi le professioni si trasmettono di genitore in figlio), e il sapore del ritrovato Ancien régime solletica piacevolmente il palato dei conservatori di sempre. Il ripristino degli squartamenti in piazza delle Erbe (di fronte a Palazzo Civico) pare ormai imminente, così come la cancellazione dai testi di Storia di alcuni nomi giudicati “dannati” dall’attuale potere politico: Voltaire, Beccaria, Karl Marx e il torinese Lorenzo Valerio (quest’ultimo già cancellato e dimenticato da tempo).

Benvenuta modernità.   

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