REGIME GIALLOVERDE

Lega-M5s, in Piemonte si scommette sulla rottura

Il Carroccio nostrano è sempre stato piuttosto freddo sull'alleanza con i grillini e ora dopo il caso Siri molti auspicano che Salvini stacchi presto la spina. I rapporti pessimi con Appendino e le mediazioni del capogruppo-segretario Molinari

Se nella Lega sono “tutti stufi dei Cinquestelle”, come ha detto Edoardo Rixi, c’è chi è più stufo degli altri. E forse non è un caso si trovi al Nord, nel Piemonte dove il Carroccio quel rapporto a dir poco difficile con i grillini lo ha sperimentato, anche se dall’opposizione, in questi due anni e mezzo di sindacatura di Chiara Appendino e in una città dove i grillini, a partire dal gruppo consiliare a Palazzo Civico, sono tra i più movimentisti e radicali. Ma non è solo l’aver provato dai banchi della minoranza nel capoluogo la difficoltà, pur nei diversi ruoli, ad aver a che fare con il M5s ad aver prodotto un’insofferenza tra i leghisti verso quel partner di governo che sul caso di Armando Siri ha mostrato un volto, certamente non sconosciuto tantomeno sorprendente agli occhi di militanti e dirigenti del Carroccio.

L’ammissione del sottosegretario ligure su quell’insofferenza ormai ai limiti di guardia (e forse oltre), oggi sembra il palesarsi di qualcosa peraltro mai del tutto nascosto nel partito di Salvini: quella convinzione che il tanto declamato contratto di governo, così come le reciproche attestazioni di stima sconfinate in altrettanto reciproci complimenti tra il Capitano e Luigi Di Maio, non sarebbero riusciti a evitare un più o meno prossimo punto di rottura. Mai vicino come ora.

Non è un mistero, né un segreto che tra i leghisti più scettici – quando si trattava di dare un governo al Paese dopo il voto dell’anno scorso – c’era proprio il capogruppo alla camera, ma anche segretario regionale, Riccardo Molinari. Oggi non usa giri di parole per dire che “i Cinquestelle devono chiarirsi le idee, ma ancor prima smetterla di inventarsene una ogni giorno contro la Lega. Noi – aggiunge – siamo persone serie e diciamo che dobbiamo andare avanti per il Paese. Certo così è dura…”. E dura dev’esserlo stata, per lui, anche quando gli è toccato vedere la formazione del governo Lega-M5s. Molinari non solo è sempre stato, dopo il voto del 4 marzo e nei lunghi mesi di impasse, a dir poco dubbioso su un’alleanza (sia pure definita e limitata dal già citato contratto di governo) con i grillini: era decisamente contrario. Poi convenne sulla lungimiranza di Matteo, unita a quella necessità di dare una guida al Paese. Ma questo suo atteggiamento non era affatto isolato, nel partito e soprattutto nella sua regione. In questi giorni, il capogruppo alla Camera parlando con alcuni dei suoi non ha avuto difficoltà a ricordare di come i grillini avesse avuto modo di misurarli in Regione, nella scorsa legislatura. E se questo passato non bastasse, c’è il presente della Appendino e dei suoi.

La mannaia giustizialista grillina, arrivata con il ritiro delle deleghe al sottosegretario da parte del ministro Danilo Toninelli senza neppure preavvisare la Lega – “una cosa mai vista, inconcepibile” tuona Molinari – tantomeno il suo leader, scuote e allarma il Carroccio. Questi dove vogliono arrivare? È la domanda che circola nel partito di Salvini, dove qualche problema con la giustizia c’è o lo ha avuto, compreso lo stesso Molinari, condannato in appello per le cosiddette spese pazze in Regione dopo essere stato assolto in primo grado. Vicende ampiamente usate dagli alleati grillini come arma di delegittimazione politica.

“Ma possiamo governare con chi sostiene che non bisogna vaccinarsi?” aveva detto più d’una volta la capogruppo in Consiglio regionale Gianna Gancia, oggi candidata al Parlamento europeo. Anche lei, tuttavia, ammette che quella necessità di dare un governo al Paese era questione non altrimenti superabile. Lo stesso suo omologo a Palazzo di Città, Fabrizio Ricca, non si è mai curato di doversi mettere i guanti per attaccare la sindaca grillina, anche quando i loro rispettivi partiti erano ormai alleati a Palazzo Chigi. Per non parlare del corpo a corpo ingaggiato con l'amministrazione pentastellata da Alberto Morano, che è un indipendente ma è stato pur sempre il candidato sindaco per il Carroccio.

Quelle “differenze abissali di un esecutivo dove al garantismo della Lega si contrappone il giustizialismo del M5s” come ha ribadito in una nota Silvio Berlusconi, non erano ignote a nessuno nel Carroccio: dal semplice militante ai vertici di via Bellerio. Se possibile, dai vertici ai militanti, in Piemonte le diffidenze e le mal sopite contrarietà a quell’alleanza, pur forse inevitabile dopo il responso delle urne (e, soprattutto, dopo il no chiaro di Matteo Renzi a un accordo del Pd con i Cinquestelle), sono state più forti che altrove.

Tutti ormai stufi dei Cinquestelle. Qualcuno più stufo degli altri, non senza aver a dir poco dubitato a suo tempo di quel matrimonio (sempre negato) di necessità, culminato in momenti di eccessivo idillio per poi finire con i classici stracci che volano.

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