5 Stelle, la confusione è Chiara

Il problema non è Chiara Appendino e a ben vedere neanche la sua maggioranza che in fondo davvero si limita a rivendicare il rispetto del valori originari del Movimento 5 stelle nella pratica amministrativa quotidiana. Partiamo dalla fine: dal trasferimento del Salone dell’Auto, manifestazione nata da un’intuizione dell’amministrazione Fassino. Appare fin troppo evidente che una sfilata di auto inquinanti nel più bel parco di Torino possa essere invisa al ventre molle pentastellato, il problema semmai è come abbia fatto la prima cittadina a non riuscire a promuovere in questi tre anni una manifestazione alternativa, in grado essa di incarnare l’anima dei Cinquestelle: un festival della mobilità sostenibile, una sfilata di monopattini elettrici, un grande congresso sulla bicicletta e i suoi benefici per la salute e l’ambiente. Qualunque cosa. Ma niente, la Appendino voleva il vecchio Salone dell’Auto e i “suoi” no finché questo conflitto più o meno latente è deflagrato.

A questa amministrazione manca un’anima, quella dei Cinquestelle. La sindaca ha gestito finora le emergenze – soprattutto di bilancio – in modo ragionieristico, penalizzata da una squadra debole e ciarliera. Non è riuscita a regalare ai cittadini un nuovo orizzonte in termini politici e di narrazione. In tema urbanistico siamo in totale continuità col passato e anche laddove si è attuata una cesura – leggi il velleitario progetto legato al parco Michelotti – l’operazione è naufragata. C’è la riqualificazione di qualche giardinetto grazie ai soldi sulle periferie messi a disposizione dal precedente governo. Fine della storia. Anche sui metodi amministrativi nessun passo avanti, a partire dalla trasparenza, altra bandiera dei Cinquestelle ammainata in questa consiliatura, tra vertici di maggioranza segreti e riunioni di giunta blindate (altro che lo streaming). Addirittura i dati sul sito istituzionale vengono talvolta omessi o inseriti in ritardo.

La maggioranza Cinquestelle si aspetta ancora risposte su Tav – perché al di là delle parole e delle mozioni in aula l’unica volta che Appendino aveva voce in capitolo sul tema ha sottoscritto il Patto per il Piemonte con Sergio Chiamparino, un documento con una serie di opere propedeutiche alla Torino-Lione da far finanziare al Governo – acqua pubblica, partecipazione (mai sono stati respinti tanti referendum come in questi tre anni, dalla Tav alle Olimpiadi fino alla nuova Ztl allargata).

Il dramma (politico) di Appendino sta proprio nell’opacità di quell’alternativa che, almeno negli slogan elettorali, doveva essere chiara. Non lo è stato, basti pensare a quante promesse la sindaca si è poi rimangiata, sacrificandole sull’altare della realpolitik e di quell’incestuoso (sempre politicamente parlando) rapporto con l’ex governatore. Un rapporto di cui entrambi si sono ritrovati a dover rendere conto ai rispettivi partiti e, nel caso del Chiampa, agli elettori. Infine una citazione merita la più grande promessa mancata: il cambio della classe dirigente, la sostituzione di un sistema di potere vecchio e anchilosato passato alle cronache come Sistema Torino: anche qui la rivoluzione non c’è stata, basti pensare alle gaffe continue sulle nomine (davvero imbarazzante il balletto su Smat e ancor più di cattivo gusto il riciclaggio di certi personaggi così inadeguati, imposti chissà da chi, in ruoli più marginali del sottogoverno cittadino); alcune conferme inimmaginabili come quella di Angela La Rotella, icona del Sistema Torino, al vertice della Fondazione per la Cultura; per non parlare, sempre in ambito culturale, dell’incapacità di manager come William Graziosi al Teatro Regio.

Ecco, forse è per questo che quella smandrappata maggioranza è ormai in sommossa: molti consiglieri non sanno cosa sono, ma hanno ben chiaro in mente cosa non sono. Non sono quelli delle grandi opere o dei grandi eventi, non saranno mai i portabandiera delle Olimpiadi o del Salone dell'Auto, non vogliono i grandi centri commerciali. Bisognava amalgamarli attorno a una diversa idea di città, che in tre anni non è mai emersa, perché se a parole Appendino ha sempre parlato di cambiamento nei fatti ha praticato la continuità con il passato. Di qui il loro disagio che in fondo è lo stesso di tanti attivisti. Ed ecco che riecheggia come una beffa ai loro orecchi una frase che nel Pd si è sentita con insistenza nei giorni appena dopo l’elezione della nuova sindaca: “Che peccato. Appendino, poteva essere la nostra candidata perfetta”. Appunto. 

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