NEMICI CARISSIMI

Governo modello Chiappendino

Ma quale Ursula, è l'ircocervo subalpino la vera matrice di un'ipotetica alleanza tra M5s e Pd. Quell'entente cordiale tra la grillina Appendino e il dem Chiamparino ha anticipato la svolta nazionale. E non a caso il nome dell'ex governatore circola tra i possibili ministri

Chiappendino va al Governo. Preventivamente distribuite opportune manciate di “se” davanti a ogni possibile scenario aperto e apribile di una crisi che non s’era mai vista e mai la più fervida mente avrebbe potuto immaginare, appunto se dovesse nascere un esecutivo Cinquestelle-Pd e chi altro magari decidesse di starci, c’è chi giura che nell’elenco dei ministri sarebbe molto probabile trovare il nome di Sergio Chiamparino. Anzi, a detta di alcuni insider romani, l’ex governatore sarebbe già quotatissimo nel borsino di Ursula.

Ipotesi manco un po’ campata per aria quella di un posto nel governo giallorosso, che già domani sera potrebbe apparire meno lontano, per l’ex presidente della Regione. Le ragioni a sostegno di un Chiamparino, riserva della Repubblica, chiamato a reggere un dicastero non mancherebbero di certo, ma la principale ancor prima che nell’apprezzamento e la stima che si deve ai padri nobili e che il Pd di Nicola Zingaretti gli riconosce, sta nel giudizio e nell’opinione che hanno di lui i vertici dei Cinquestelle. Senza proprio arrivare ad essere la Cuccarini piddina per i grillini, il Chiampa se non il più amato è certamente il meno odiato da quelle parti. Non da oggi, ma certo anche da quando la sua traduzione della concordia istituzionale nel rapporto con Chiara Appendino assunse quella (larga) dimensione, inusuale e non sempre apprezzata da buona parte dei dem, tanto da far emergere vome uno spettro da scacciare  l’ircocervo del Chiappendino.

Fin dal suo emergere in modo prorompente sulla scena politica, l’ex presidente della Regione guarda all’avversario pentastellato come a una forza politica protestataria che il Pd dovrebbe (e avrebbe dovuto per tempo), agevolare nell’incanalarsi in ambiti più istituzionali. E anche questo atteggiamento, critico e da avversario finché si vuole, ma lontano da ostracismi preconcetti e pregiudiziali che hanno albergato e albergano tuttora nel partito, farebbe la differenza rispetto ad altri nel momento (semmai arriverà) di stilare la lista dei titolari dei dicasteri.

Domani dopo l’intervento di Giuseppe Conte al Senato, ma anche dopo quello annunciato di Matteo Salvini, forse si capirà (qualcosa) di più sull’evoluzione della crisi più conclamata e velenosa (basta leggere gli scambi epistolari all’epoca di Facebook tra il Capitano e il capo politico del M5s), pur se paradossalmente non ancora formalizzata. Senza aspettare lo snodo cruciale del discorso del premier e la non improbabile sua successiva salita al Colle per le dimissioni, nel Pd a dispetto delle cautele di facciata, il totoministri e le rincorse per prenotare una poltrona impazzano.

La trattativa ormai è avviata, l’accelerazione anche per l’ostico Nicola Zingaretti è arrivata con Romano Prodi e il suo non certo accantonabile appello governista. Matteo Renzi che ha in mano la maggioranza dei gruppi parlamentari, incassa il successo della sua strategia, prende tempo per organizzare il suo partito, pronto a staccare la spina al governo quando riterrà che il momento sia opportuno. Difficile, molto difficile sarà vedere anche un solo ministro renziano nel futuribile Governo. Renziano Chiamparino lo è stato prima ancora che il toscano vestisse i panni del leader, al punto da passare nell’iconografia della Leopolda per una sorta di precursore, lui che dopo la giovanile militanza ingraiana e la conversione al migliorismo, nel Pd si è sempre mostrato piuttosto refrattario al tribalismo correntizio. Con il declinare della stella del Rottamatore anche i rapporti tra i due si sono raffreddati, portando l’ex sindaco di Torino a pronunciare giudizi severi e marcando i limiti della stagione renziana.

Il governatore del Lazio appena insediatosi al Nazareno la prima uscita l’aveva fatta proprio a Torino, incontrando il governatore uscente che ancora puntava ad essere rieletto. Poi ha chiamato nella sua segreteria, a seguire il complesso dosssier delle riforme istituzionali, il deputato da anni il più vicino al Chiampa: Andrea Giorgis. Ecco, lui – schierato per il no al referendum che costò Palazzo Chigi e Nazareno a Matteo – potrebbe essere un altro possibile componente del governo giallorosso. Molto stimato e molto vicino a Zingaretti, Giorgis. Non certo, però, in possesso di quel viatico grillino che può vantare l’ex governatore, oggi seduto nei banchi dell’opposizione in Consiglio regionale, con nessuna voglia di appendere le scarpe al chiodo.

“Mi sento come Sophia Loren” disse nel 2013 quando il suo nome venne pronunciato per ben 41 volte nel corso di una delle votazioni per il Presidente della Repubblica e i renziani lo avevano indicato per marcare la loro contrarietà nei confronti di Franco Marini. “Mi ricordo quando da ragazzo seguivo una delle elezioni del presidente della Repubblica. Durante lo spoglio ricorreva il nome di Leone e ogni tanto spuntava quello della Loren. Ecco, oggi – commentò allora - mi sono sentito come la Loren”. Domani potrebbe essere, per i grillini, quasi la Cuccarini del Pd. 

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