In ansia per Djalali

È detenuto in Iran dall'aprile 2016 Ahmadreza Djalali, lo scienziato con doppia cittadinanza iraniana-svedese che ha dedicato la vita alla prevenzione dalle catastrofi. Oltre alla preoccupazione per il suo stato di salute, in queste ore si è aggiunta quella per un sospetto trasferimento in isolamento, in una località sconosciuta. Lo fa sapere la Federazione italiana diritti umani (Fidu), che in una nota torna a chiedere all’Unione europea di esercitare immediatamente le opportune pressioni sul governo iraniano affinché questo omicidio annunciato non avvenga. Secondo Fidu, quando un detenuto su cui pende una condanna a morte viene trasferito, il rischio è che sia per portare a termine l’esecuzione. Djalali, ricorda la Federazione, nutre una profonda passione per la ricerca e l’assistenza umanitaria, che l'ha portato a Novara, dove ha lavorato per quattro anni presso l’Università del Piemonte Orientale. Poi, l’arresto a Teheran, dove si era recato per un seminario. Da lì, le accuse di spionaggio, l’isolamento, la condanna a morte, dopo un processo a porte chiuse che non ha rispettato i minimi standard internazionali di giustizia. Per la scarcerazione dello scienziato sono intervenuti anche 75 premi Nobel, che hanno fatto appello alle autorità iraniane di permettere all’uomo di tornare a casa dalla moglie e dai due figli. Secondo il rapporto diffuso ad aprile dall’Iran Human Rights (Iranhr), 273 persone sono state giustiziate nel Paese persiano nel 2018. A margine della presentazione del report a Roma, il fondatore dell’associazione, Mahmood Amiry Moghaddam, alla ha detto: “L’esperienza degli ultimi 40 anni ci dimostra che solo le forti pressioni della comunità internazionale possono aiutare a cambiare le scelte delle autorità in Iran in materia di pena di morte e diritti umani”.

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