OCCUPAZIONE

La Spoon River del lavoro

Il Piemonte è tra le regioni più in crisi a causa delle difficoltà del settore metalmeccanico. Disoccupazione in crescita soprattutto per le donne. Cresce solo il comparto agricolo. L'assessore Chiorino: "Nel 2020 la situazione peggiorerà"

Non si vede luce in fondo al tunnel. La Spoon River del lavoro in Piemonte emerge in tutta la sua drammaticità nei dati illustrati questa mattina dall’assessore regionale Elena Chiorino, durante il Consiglio speciale a Palazzo Lascaris sul tema dell’occupazione. Il trimestre luglio-settembre ha fatto registrare un calo degli occupati di 17mila unità, concentrati in buona parte nell’industria manifatturiera (-25mila addetti), che, dopo un brillante inizio d’anno, già nel secondo trimestre risultava in flessione,  mentre resta sostanzialmente stagnante la situazione nei servizi (+2mila unità) e solo l’agricoltura mostra una dinamica positiva apprezzabile (+4mila dipendenti). La diminuzione interessa esclusivamente il lavoro alle dipendenze (-34mila occupati), mentre cresce di 16mila unità la componente autonoma, trainata dai servizi non commerciali. 

“Questi dati evidenziano due aspetti a mio parere piuttosto significativi – afferma Chiorino – il primo è che la diminuzione drastica del numero dei lavoratori dipendenti e l’aumento degli autonomi dimostra il sostanziale fallimento, almeno ad oggi ed in Piemonte, del Jobs Act, i cui estensori ipotizzavano addirittura che avrebbe favorito l’aumento del numero di contratti a tempo indeterminato. Il secondo è che la narrazione -  che troppe volte è stata ripetuta in questi anni come un mantra - dei servizi in grado di sopperire numericamente, in termini di posti di lavoro, alla crisi del manifatturiero si rivela, nei fatti, non corrispondente alla realtà”.

Aumenta, coerentemente, la disoccupazione (+9mila persone in cerca di lavoro), frutto di una forte crescita delle donne (+23mila), il cui tasso di disoccupazione sale di 2,5 punti percentuali rispetto all’analogo trimestre 2018, superando di poco la soglia del 10%, a indicare una forte tensione verso il lavoro (il tasso di attività femminile passa dal 64,1 al 65,3%); che non sembra però trovare un adeguato sbocco occupazionale. Diminuisce, per contro, la disoccupazione maschile, e si amplia considerevolmente il divario di genere.

Il quadro trimestrale mostra però, nel corso del 2019, sbalzi non trascurabili, dovuti presumibilmente alla minore stabilità delle stime regionali sul breve periodo. “Nell’insieme, insomma, le stime dipingono per il Piemonte una situazione difficile  - prosegue Chiorino – con più ombre che luci, e che ci vede arretrare nel contesto del Nord Italia dove le dinamiche restano complessivamente buone”.

La crisi sferza il Piemonte e a dimostrarlo ci sono anche i dati della cassa integrazione. Sono circa 50 le imprese che ne fanno ricorso, 2500 gli addetti coinvolti, prevalentemente nei settori metalmeccanico e dell’editoria, tra i quali si evidenziano ben 20 imprese in cassa integrazione per cessazione attività che coinvolgono circa 800 persone. A queste si affiancano 75 imprese che attuano la cassa integrazione per contratti di solidarietà, tra cui la più nota è Fca con 4mila dipendenti in cassa. Il settore metalmeccanico resta il più colpito,  seguito da chimica, gomma, commercio e abbigliamento.

Non è finita. Si prevede, nel 2020, un ulteriore aggravamento della situazione come dimostrano i recenti focolai di crisi emersi alla fine dello scorso anno come quello della Martor di Brandizzo, la Mahle (450 addetti con procedura di licenziamento collettivo in corso) o dell’Ilva (800 lavoratori coinvolti più l’indotto con migliaia di imprese).

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