GIORNO DELLA MEMORIA

L'antisemita della porta accanto

L'episodio di Mondovì non può essere considerato una "ragazzata" né rubricato a fatto isolato. Per Disegni, capo della comunità ebraica di Torino, è "figlio del clima che si è creato nel Paese: certi discorsi di odio e intolleranza hanno sdoganato fenomeni latenti"

Di fronte a quella scritta, Juden hier, sulla porta della casa del figlio di Lidia Rolfi a Mondovì non può, non deve passare la prevalenza del cretino. Non può, non deve profilarsi la riduttiva ipotesi – peraltro affacciatasi da alcune parti e su alcuni giornali – che a usare la vernice nella notte sia stato “semplicemente” un idiota e che un fatto che, giustamente ma forse non ancora abbastanza, scuote le coscienze venga rubricato a ragazzata. E nulla cambia nella gravità dell’accaduto il fatto che Lidia Rolfi, partigiana e deportata, non fosse ebrea.

“Ignoranza o forse, chissà, proprio la volontà di mettere partigiani, ebrei, deportati tutti nello stesso mazzo di nemici di additare. Comunque, si tratta di un episodio gravissimo di antisemitismo e di razzismo che ha preso di mira la figura di una persona di grande rilevanza, amica di Primo Levi, straordinaria testimone degli orrori dei campi di concentramento”.

Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino, numericamente la terza in Italia, non tralascia di rammentare una tragica coincidenza: “L’episodio inqualificabile e terribilmente inquietante, non a caso, avviene a ridosso del Giorno della Memoria. Si cerca di additare gli ebrei come nemici imbrattando la casa di una partigiana deportata che non era ebrea e questo accade in una cittadina dove gli ebrei non ci sono più, l’ultimo fu Marco Levi scomparso vent’anni fa e con lui si è spenta una testimonianza in quella città”.

Le indagini, auspicabilmente, porteranno a scoprire di chi è la mano che ha vergato quella scritta che rimanda alla Notte dei cristalli, punto di origine dell’Olocausto. Due parole probabilmente attinte a quel pozzo nero in cui nel web mestano neonazisti e neofascisti e cui finiscono per nuotare menti giovani e già deviate. E che dire di quello che si respira in certe aule universitarie, a partire dall’ateneo di Torino, dove la bandiera antisionista e gli attacchi a Israele celano malamente un antisemitismo ideologico? Perché una cosa è chiara: ogni distinguo è una manipolazione della verità.

“Questo non è l’unico episodio, in Europa, di antisemitismo senza gli ebrei, che diventano lo stereotipo del nemico con cui prendersela in queste fanatiche ricerche di un nemico, appunto”, osserva Disegni che proprio ieri il Governo ha confermato per altri quattro anni alla presidenza del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-Meis di Ferrara. Oggi occorre denunciare “una recrudescenza molto forte e preoccupante, figlia del clima che si è creato nel Paese: certi discorsi di odio e intolleranza hanno sdoganato fenomeni latenti”.

È vero, che “non si diventa all’improvviso antisemiti e razzisti”, ma è altrettanto vero che “fino a qualche anno fa chi aveva idee di questo genere le teneva abbastanza nascoste e oggi, invece, può benissimo esternarle perché ritiene che ci sia un clima generale del Paese che in qualche modo glielo consenta”. Un clima dove è diventato persino mpoliticamente conveniente affermare il superamento in nome del tempo passato del confine tra fascismo e antifascismo. Non stupisce, quindi, e non di meno allarma che vi sia chi “in un’analisi statistica sostiene che la Shoah non è mai esistita e addirittura il 10% ne contesta le dimensioni, ritenendole gonfiate dalla lobby ebraica. Dati che denunciano uno spaventoso antisemitismo che sta crescendo”.

Di fronte a questo quadro, con risvolti agghiaccianti “dobbiamo intensificare un’azione educativa soprattutto verso le nuove generazioni. Oggi – dice Disegni – i testimoni della Shoah si stanno estinguendo per legge di natura, dunque dobbiamo diventare testimoni dei testimoni. A Torino, in Piemonte come nel resto dell’Italia il sistema delle scuole e delle biblioteche, le associazioni si stanno impegnando per educare i giovani, anche con i viaggi della Memoria nei campi di sterminio. Ma c’è anche da sfatare il mito di italiani brava, secondo cui le leggi razziali sono state fatte solo per compiacere l’alleato tedesco, mentre la realtà è ben diversa: queste leggi – prosegue il presidente della Comunità Ebraica di Torino – che io preferisco chiamare razziste sono figlie del fascismo e rivendicate tali. Ma soprattutto hanno preparato la strada per la tragedia che si è consumata dopo l’8 settembre con la deportazione e lo sterminio degli ebrei”.

Dunque, davanti a quella porta su cui nella notte è comparsa l’odiosa, atroce scritta che riporta indietro l’orologio della storia, ma deve far suonare ancor più forte la sveglia delle coscienze, “bisogna fare i conti con il passato. In moltissimi casi è stato fatto ma con grave ritardo al contrario di quanto è, invece, avvenuto in Germania. Per questo serve una profonda riflessione sulla Shoah, ma non di meno su quello che l’ha preceduta incominciando proprio dalle leggi razziali, dall’emarginazione degli ebrei che hanno aperto la strada alle deportazioni e allo sterminio”.

Parole, quelle vergate sulla porta della casa di Mondovì, terra di atrocità nazifasciste, che molto probabilmente arrivano più dalla rete che da libri. “Quella dei social è una prateria senza regole, presenta dei rischi tremendi, girano materiali di ispirazione fascista e nazista, è pieno di cattivi maestri e di giovani che per ignoranza vengono catturati a queste idee. C’è chi gioca su questa ignoranza per diffondere narrazioni astruse e pericolosissime”.

Ma non è solo il pozzo nero della rete ad alimentare odio e falsità. “Se penso che un senatore della Repubblica ha citato il Protocollo dei Savi di Sion – osserva Disegni riferendosi al parlamentare dei Cinquestelle Elio Lanutti, indagato per diffamazione aggravata dall’odio razziale – questo ci dice come anche persone che dovrebbero essere i rappresentanti più alti delle istituzioni si prestino a cose di questo genere. E quando la propaganda fa pegno sull’azione politica, qualcuno può pensare che tutto sia lecito”.

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