XXV APRILE

Siamo in libertà "condizionata"

"Basta paragonare l'epidemia a una guerra, con la retorica della chiamata alle armi". Per salvaguardare la salute pubblica il Governo ha assunto decisioni straordinarie, ma cittadini e parlamento non possono continuare a "delegare". Intervista al giurista Cavino

Festeggiare la Liberazione da segregati in casa. Partigiani in pantofole che combattono la loro guerra sul divano e cantano Bella Ciao dal balcone. Il paradosso si trasforma in farsa per l’Italia al cospetto di un nemico invisibile quanto inquietante. Mai era successo nell’Italia repubblicana, ma attenzione “le nostre oggi sono libertà limitate e non negate” premette il professor Massimo Cavino, giurista e docente di Diritto costituzionale all’Università del Piemonte Orientale. Quanto al confronto tra pandemia e guerra, quante volte evocato per eccesso di retorica, “lasciamolo perdere, è eticamente scorretto”. “Accostare l’emergenza sanitaria a un conflitto mondiale è riprovevole. Anzi le dico di più tra i miei allievi ho degli studenti siriani e penso che a fronte di questo parallelismo potrebbero offendersi”.

Certo non è una guerra ma piangiamo i morti, viviamo in regime di semi-libertà e una crisi economica alle porte minaccia ripercussioni gravissime su una popolazione inerme di fronte a nemici come il virus e la recessione. In questo scenario che significato assume il termine libertà?
“La libertà, oggi più che mai, è la ricerca della felicità attraverso il rapporto con gli altri. È un concetto sociale, la possibilità di intrattenere relazioni con reciproca soddisfazione. Ed è il regalo più grande che ci è stato fatto il 25 aprile di settantacinque anni fa”.

Oggi, però, rinunciamo alla libertà per un valore considerato superiore, il diritto alla salute.
“Uno dei messaggi arrivati dal governo è questo: non c’è nulla che valga più della salute. Vivi ad ogni costo sembra essere il motto. Di più: è stata promossa, nel dibattito pubblico, un’alternativa tra salute e libertà. E questo è un problema perché la nostra Costituzione le prevede entrambe”.

Come si è arrivati a questo?
“Ci sono state imposte delle privazioni con la retorica della chiamata alle armi. L’epidemia è diventata una guerra, i medici sono i nostri eroi in prima linea, a casa restano partigiani silenziosi che combattono rimanendo segregati. C’è un ricorso alla mobilitazione per indurre i cittadini a delegare il più possibile le proprie libertà e responsabilità al Governo. Dobbiamo essere molto attenti a non creare quest’abitudine e per farlo dobbiamo mantenere senso critico e pretendere delle giustificazioni che vanno oltre i tweet o le conferenze stampa via social. Anche a costo di esser considerati disfattisti.

Sembra evocare delle forzature, non fino in fondo giustificate dall’emergenza. Secondo lei il Governo, col ricorso smodato alla decretazione d’urgenza e l’esautorazione di fatto del Parlamento, ha agito nel perimetro della Costituzione?
“C’è un equilibrio sottile tra la necessità di tutelare il bene collettivo e quella di garantire le libertà individuali. Ed è un equilibrio dinamico che dipende sempre dal contesto e dalla situazione. All’esecutivo riconosco l’esigenza di garantire la salute pubblica assumendo decisioni tempestive. Ma, attenzione, la ricorrenza di oggi ci insegna come ci siano dei limiti invalicabili. E tutti dobbiamo essere molto attenti affinché le restrizioni non debordino oltre quei limiti”.

Quali sono questi limiti?
“Non è possibile stabilirlo a priori, non esiste un’unità di misura. Ma esiste una parola utile per determinarlo volta per volta ed è la ragionevolezza, che non si può mai definire a priori, si stabilisce sempre in concreto. Dal punto di vista procedurale le disposizioni devono rientrare nel quadro descritto dalla Costituzione. Noi cittadini e tutte le persone di buon senso abbiamo il diritto e il dovere di assicurarci che le ordinanze rimangano nel quadro della legalità non solo formale ma anche sostanziale”. 

E oggi certe misure sono ancora ragionevoli?
“Io credo che non lo siano. E penso sia il momento di trovare un nuovo ragionevole bilanciamento tra ruoli e valori costituzionali a partire da una sana separazione dei poteri. Questo vuol dire che il Parlamento dovrà tornare protagonista della vita politica nazionale e che non può limitarsi ad affidare una delega in bianco al Governo. Dovrà esercitare fattivamente il proprio ruolo di controllo sull’esecutivo”.

“Nulla tornerà più come prima” è una frase che ci sentiamo ripetere, spesso a sproposito, per l’economia, le nostre abitudini sociali. Vale anche per la nostra libertà? Insomma, Abbiamo creato un precedente?
“Innanzitutto non sono così sicuro che nulla tornerà come prima. Nessuno oggi ha gli elementi per affermarlo. Certo la libertà è un bene talmente prezioso che non va dato per scontato. Ce ne siamo parzialmente e temporaneamente privati in nome del diritto alla salute e della tutela dei più deboli, ma dovremo presto riappropriarcene”.

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