L'importanza di essere liberi

In questi mesi dominati da Covid19, l’elenco giornaliero di chi se ne è andato include padri di famiglia, operai, pensionati, medici e professionisti. Vittime da piangere a causa del vuoto che lasciano tra i loro affetti, ma anche per il loro “essere” su questa Terra.

Non è discriminatorio valutare come alcune assenze peseranno, a livello collettivo, più di altre. Nell’attuale periodo epidemico abbiamo salutato con dolore artisti, attori, giornalisti e scrittori. Recentemente sono scomparse due “penne” che mai si sono volute assoggettare al potere: anime libere, non condizionate dalla paura o dal dovere di obbedienza nei confronti di qualsiasi regime costituito (occulto o palese esso sia). Mi riferisco, ricordandoli, a Luis Sepùlveda e Giulietto Chiesa.

Quest’ultimo ha rappresentato, insieme a pochi altri, il giornalismo non incline alla sottomissione a favore degli interessi politici ed economici. Sono memorabili i suoi reportage dalle aree di guerra, in particolare dai campi di battaglia della grande macelleria balcanica. La sua era l’unica voce indipendente, oggettiva, proveniente dai luoghi dove si combatteva il conflitto civile più cruento e insensato dei nostri tempi.

All’alba degli anni ’90 quasi tutti i servizi giornalistici, trasmessi dai telegiornali, erano di parte, poiché totalmente protesi alla difesa strumentale di uno solo dei belligeranti in campo. In Occidente si tendeva a tacere sui crimini di guerra commessi dagli Ustascia (i fascisti Croati), imputando ai Serbi e ai Musulmani tutte le stragi che straziavano l’ex federazione jugoslava. La voce di Giulietto Chiesa permetteva al pubblico televisivo della Rai di poter gettare uno sguardo neutrale sulle drammatiche vicende bosniache. Il giornalista narrava i fatti indicando i presunti responsabili, al di là della partigianeria di comodo voluta dai Paesi membri della Nato (i veri artefici del sanguinoso scontro civile).

L’esercizio della libertà di parola, riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione, presenta regolarmente conti molto salati.  Un triste giorno Chiesa sparì dai teleschermi, e la cronaca della guerra riprese così gli usuali toni sbilanciati a favore di Zagabria, sino a omettere sistematicamente ogni nefandezza compiuta dai nostalgici di Ante Pavélic (addossando tutte le stragi ai nazionalisti serbi, i Cetnici). Una cacciata simile a quella riservata al giornalista Gianni Minà, decretata quando iniziò a raccontare in Tv i pregi del sistema sanitario e assistenziale cubano.

Luis Sepùlveda ha alle sue spalle una corposa storia di giornalismo e militanza politica. All’epoca del golpe di Pinochet in Cile, lo scrittore era al fianco del deposto presidente socialista Salvador Allende. Pagò la sua fedeltà alla causa democratica con il carcere e la tortura. Esiliato, prese parte a battaglie per la difesa dei diritti civili e dell’ambiente, scegliendo di imbarcarsi sulle navi di Greenpeace.

I suoi libri rapiscono letteralmente il lettore grazie a una ineguagliabile capacità narrativa. Ogni storia raccontata nei suoi romanzi è al centro di lucide denunce politico-sociali (penso al bellissimo “Le Rose di Atacama”) oppure di lotte tese a proteggere gli animali dal predatore per eccellenza, ossia l’Uomo (come l’ultimo “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa”).

La poesia dello scrittore sudamericano è un penetrante invito a osservare il mondo e difendere le creature più deboli che lo abitano (tutte le creature, nessuna esclusa). La traduzione teatrale realizzata dal regista Renzo Sicco (Assemblea Teatro) ha amplificato questo messaggio, portandolo all’attenzione anche di coloro che non sconoscevano le opere di Sepùlveda.

Non li piangeremo mai abbastanza, ed è terribile il modo con cui i media hanno velocemente archiviato la scomparsa dei due scrittori.

Giorno dopo giorno si spegne anche la nostra Libertà. Il modello sociale europeo attraversa da tempo una crisi dalle dimensioni ciclopiche. I terroristi dell’Isis, in seguito agli attentati di Parigi, sono stati i primi a condizionare i movimenti dei cittadini di molte nazioni. Le stragi, dal massacro della redazione di Charlie Hebdò sino alle vittime falcidiate nei bistrot, sono state l’alibi per blindare ogni evento pubblico e sottoporre gli spettacoli a impressionanti misure di sicurezza. 

In seguito si sono verificati i drammatici fatti di piazza San Carlo a Torino, dove migliaia di persone (durante la visione di una partita di calcio su maxischermo) sono state gettate nel panico da un gruppo di giovani intenti a rubare catenine. Morti e feriti hanno determinato ulteriori misure restrittive inerenti gli eventi culturali all’aperto, rendendo quasi impossibile la realizzazione di festival e rassegne.

In un contesto già molto provato, e sempre più invasivo della privacy dei cittadini, si è abbattuto con violenza inaudita il Coronavirus, assestando un colpo mortale ai diritti fondamentali e alla residuale socializzazione che resisteva all’incessante assedio. Un’ombra nera si è allungata così sopra lecittà e i loro abitanti.

La Festa della Liberazione nel suo 75esimo anniversario è stata avvolta dal silenzio, a esclusione delle parole insensate di alcuni amministratori comunali anti-Resistenza del torinese, e nello stesso modo sarà silente la piazza del Primo Maggio.

La Libertà è un bene prezioso. Sepùlveda e Chiesa hanno dedicato la loro esistenza a metterci in guardia sulla fragilità della Libertà stessa: sacrifici immani per ottenerla e un soffio di stupidità per perderla irrimediabilmente.   

print_icon