Un senso alla rappresentanza politica

Con l’approssimarsi delle elezioni amministrative e le difficoltà che incontrano i partiti, a destra come a sinistra, nella composizione delle liste a causa di una diffusa disaffezione, torna in auge il tema della rappresentanza politica.

In realtà la crisi del sistema politico si trascina da almeno un quarto di secolo ed è addebitabile alla responsabilità politica di quanti, con troppa superficialità, cavalcarono cinicamente il crollo della Prima Repubblica e, con essa, dei partiti tradizionali, senza alcuna riflessione sistemica sui rimedi possibili.

L’unico a farlo, in verità, con un discorso memorabile in Parlamento fu Bettino Craxi. Ma in quell’occasione si preferì, per miope opportunismo, bollare quel discorso come una chiamata di correità, anziché coglierne il significato politico profondo che consisteva, fondamentalmente, nel rimettere al Parlamento il compito di individuare la “soluzione politica” più idonea per correggere i meccanismi di funzionamento e di finanziamento dei partiti in termini di maggiore democraticità e trasparenza.

Come ha ricordato autocriticamente Goffredo Bettini (La Sinistra dopo il virus, Il Foglio del 24 aprile 2020), quel frangente segnò la caduta delle “vecchie forme” cui seguì la ricerca “confusa, superficiale, opportunistica” di nuove forme di rappresentanza che andò presto delusa, in quanto “non si valutò la portata storica della caduta irrimediabile dei soggetti politici che avevano favorito il rapporto tra il potere e il popolo”.

Dalle macerie dell’edificio della Prima Repubblica, la politica preferì ereditare il materiale di scarto anziché recuperare le “pietre angolari”.

La storia di questi anni si è incaricata di dimostrare che il vuoto politico che ne è conseguito è stato poi riempito dai partiti personali, ridotti a meri comitati elettorali, che hanno progressivamente rubato l’“anima” anche a quei soggetti politici, come il Pd, in qualche modo eredi della cultura organizzativistica del vecchio Pci per evolversi, da ultimo, nella forma più moderna dei “principi digitali” guidati da “social leader”, pregevolmente analizzati da Mauro Calise (Il principe digitale Laterza, 2019) .

Una deriva che contiene in sé il pericoloso germe “orwelliano” del controllo e dell’alterazione processo di formazione della volontà popolare che si esplica nell’esercizio consapevole, libero e personale del diritto di voto in occasione delle elezioni.

Per dirla ancora con il linguaggio immaginifico e visionario di Bettini, adesso è giunta l’ora di ridare senso all’esperienza politica, pensando a una nuova forma “in grado di contenere la misura e la sobrietà della ragione [e] emotivamente sostenuta dal cuore”, partendo innanzitutto dai territori.

Da questo punto di vista, il primo compito cui bisogna attendere consiste nell’invertire il processo di “selezione avversa” nella formazione dei gruppi dirigenti politici ai più diversi livelli, affinando la capacità di “scouting” di un nuovo personale politico dotato di attitudine, competenza e passione. Il tutto nel quadro di un modello organizzativo di partito più agile ma dotato di regole chiare e con ruoli e responsabilità definiti.

Parallelamente, occorre recuperare la capacità di curarne la formazione magari ispirandosi, con gli opportuni adattamenti e le necessarie cautele, al modello di “meritocrazia democratica verticale” cinese ben descritto da Daniel A. Bell in un suo pregevole saggio (Il Modello Cina. Meritocrazia politica e limiti della democrazia, Luiss University Press, 2019) che offre interessati spunti e suggestioni.

Un modello di selezione del ceto politico, quello cinese, ispirato al principio “democrazia in basso, sperimentazione nel mezzo e meritocrazia al vertice”, adottato – sottolinea Bell – “dopo l’esperienza disastrosa del populismo radicale” della Rivoluzione culturale.

Una notazione, quest’ultima, quanto mai attuale e densa di rimandi al populismo nostrano e alla sua correlazione con il degrado del nostro sistema politico e istituzionale avviato, da tempo, sul piano inclinato di una preoccupante “cachistocrazia”, alias governo degli incompetenti.

Naturalmente tutto ciò presuppone la consapevolezza che la dimensione organizzativa, per essere efficace, deve essere tuttavia funzionale a un modello di partito dotato di una chiara identità e di una precisa proposta politica.

Dopo anni di colpevole sottovalutazione il tema della forma e del contenuto della rappresentanza politica costituisce lo snodo fondamentale per rivitalizzare il ruolo e la funzione dei partiti che restano, nonostante tutto, l’architrave della nostra democrazia.

A esso bisogna porre rimedio avendo il coraggio di contrastare con determinazione, serietà e responsabilità, l’antipolitica dilagante che troppi ronzini della politica si sono illusi di cavalcare, contribuendo solo ad aggravare la crisi di sistema nella quale è avviluppato il nostro Paese.

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