FRONTE DEL PORTO

Genova, ultima spiaggia anche per il Piemonte

Il caos dei collegamenti autostradali e la paralisi del porto assestano un duro colpo alla logistica piemontese e all'intero sistema economico. Lo strabismo della Regione più attento ai vacanzieri che al traffico delle merci. Giachino: "Cirio batta i pugni"

Si può pensare basti un buffetto, quando forse anche un solo pugno sul tavolo forse non sarebbe sufficiente e andrebbe ripetuto? Può il Piemonte, il suo governo regionale scrivere come ha fatto un po’ di giorni addietro una assai garbata lettera alla concessionaria Aspi lamentandosi per “le code, per la maggior parte dovute ai lavori in corso sulle carreggiate, stanno creando notevoli difficoltà ai tanti cittadini che dalla nostra regione si stanno spostando verso la riviera ligure”?

Genova è al collasso, le autostrade sembrano infiniti parcheggi ingombri di macchine e tir. Fermi per ore. Il porto semiparalizzato e con colossi della logistica che stanno seriamente pensando di spostare i loro traffici in altri scali, anche del Nord Europa. Il governatore della Liguria Giovanni Toti che ieri ha annunciato di essere pronto, forse sin già domani, ad andare in tribunale e chiedere il risarcimento dei danni al Governo. Operatori economici, dagli albergatori ai terminalisti passando per gli autotrasportatori decisi a promuovere class action.

Non serve tirar fuori dal cassetto dei ricordi il triangolo industriale Ge-Mi-To, per capire che quello che sta succedendo a Genova e in Liguria avrà e forse già ha un rimbombo economicamente assordante a Torino e in Piemonte. La pur apprezzabile lettera del presidente Alberto Cirio e del suo assessore Marco Gabusi non riesce certo a scacciare l’immagine di un Piemonte strabico rispetto a ciò che succede sulle autostrade e, non di meno, in quel porto che rischia l’asfissia e l’abbandono. L’impressione è quella di una Regione che pur assai vicina anche politicamente alla Liguria, con il governatore amico di lunga data del suo omologo che sta nel palazzo di Piazza de Ferrari, fatichi a comprendere quanto ciò che accade sulle banchine pesi non solo sui retroporti in terra piemontese, ma sull’intero tessuto economico.

Già basterebbero le cifre che sciorina Mino Giachino, l’ex sottosegretario ai Trasporti ai tempi di Berlusconi e, in epoca più recente artefice di quella piazza Castello rigonfia di persone per dire Sì alla Tav, oggi presidente di Saimare, azienda che raggruppa alcune delle principali famiglie dello shipping, da Spinelli a Cosulich, da Clerici a Scerni.

“Il porto di Genova genera 120mila posti di lavoro, tra diretti e indiretti. Di questi ben 17mila sono in Piemonte”, spiega Giachino citando una ricerca Nomisma. Numeri e esempi concreti: “A Orbassano ci sono almeno quindici spedizionieri che fanno le pratiche doganali per la merce che arriva a Genova diretta a Torino, lo stesso succede a Rivalta Scrivia, a Novara, a Villanova d’Asti. Poi le società di trasporto”. Non rinuncia a raffigurazioni concrete di quel legame tra Piemonte e Liguria, tra Genova e Torino troppo spesso non esplicitato a sufficienza, neppure in questa occasione. “Quando una delle eccellenze della nostra manifattura, la Prima Industrie, deve spedire un macchinario in Cina impegna un sistema logistico impressionante, dai mezzi speciali alle strutture burocratiche. Ecco perché io dico che nel ventunesimo secolo i porti hanno sostituito le fabbriche nella centralità dell’economia”.

Ma non c’è porto senza retroporto e la banchina asciutta in territorio piemontese è cresciuta meno di quanto le condizioni lo avrebbero consentito e le necessità richiesto. Se le cose fossero andate diversamente probabilmente oggi la congestione sarebbe minore e il Piemonte sarebbe cresciuto economicamente di più. “Da trent’anni in Piemonte manca la visione su questi temi e, purtroppo mancano anche gli uomini che possano averla e tradurla in pratica come si fece all’epoca con il piano delle autostrade e dei trafori”.

Altri numeri e una considerazione che Giachino fa senza risparmiare critiche neppure a uomini del suo stesso fronte politico: “Non so se Cirio e il suo assessore hanno ben chiaro che l’80% delle esportazioni e importazioni delle aziende piemontesi passa per il porto di Genova. A fronte di questo, oggi su un totale di 14 corsie tra tutte le autostrade di collegamento con la Liguria, ne funzionano soltanto 6. Non si può non intervenire con tutta la forza possibile per uscire da questa strozzatura, che non è una questione ligure e basta. Tutt’altro. Per il Piemonte il porto di Genova è vitale. Se le aziende piemontesi devono rivolgersi a scali stranieri, come quelli del Nord Europa, ci rimettiamo due volte: si perde il lavoro della logistica e si perdono anche le entrate fiscali e poi aumentano i costi per le imprese”.

Ritrovare una visione e, nel frattempo, correggere la visuale verso Genova: questo il compito della Regione in un momento la cui drammaticità sembra cosa che resta al di là dell’Appennino e, senza nulla togliere al turismo, faccenda di disagi per raggiungere le spiagge. Senza forse accorgersi che potrebbe svanire l’ultima. “La nostra Regione deve far sentire forte la sua voce con il Governo” esorta l’ex sottosegretario, che per far intendere a chi lo vuole riadatta una frase dell’Avvocato, quello che va bene per la Fiat va bene per il Paese, “Quello che va bene per il porto di Genova va bene per il Piemonte”. 

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