AUTUNNO CALDO

Emergenza lavoro: "Cirio cambi passo, ma faccia quello giusto"

Non è tempo di traccheggiare, occorre concentrare le risorse in quei comparti in grado di moltiplicare investimenti e occupazione: automotive, aerospazio e sanità. Il leader della Uil Cortese lancia un "Patto per il Piemonte" tra istituzioni e parti sociali

“Sarà un autunno difficile, molto difficile. Trovo motivata e per nulla eccessiva la forte preoccupazione espressa dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: la caduta di reddito mette a repentaglio la coesione sociale. La situazione ovviamente è grave dappertutto, ma i dati delle previsioni sulle città più grandi dicono che Torino avrà una caduta di pil maggiore rispetto ad altre città del Nord e il resto del Piemonte, salvo qualche rara eccezione, non è in una condizione diversa”.

Non è uno scenario che mitiga i timori per quel che probabilmente accadrà alla fine dell’estate quando finiranno, o comunque, potrebbero affievolirsi le garanzie i sussidi, dal blocco dei licenziamenti agli ammortizzatori sociali, introdotte in piena emergenza Coronavirus, quello che delinea il segretario generale della Uil Piemonte e Torino Gianni Cortese. E, del resto, non potrebbe essere altrimenti.

Di fronte a questo quadro e ai rischi gravissimi anche di tenuta sociale cosa bisogna fare per un passaggio il meno doloroso possibile dall’emergenza a un post-emergenza che nonostante il suffisso sarà, probabilmente, ancor più pesante per l’economia?    
Bisogna trovare gli strumenti per alleviare le sofferenze e creare una sorta se non di alleanza di interessamento collettivo tra istituzioni e parti sociali, per cercare affrontare al meglio queste problematiche e, soprattutto, avere un piano chiaro su cui convogliare le risorse disponibili per gettare le basi del futuro”.

Segretario, lei punta dritto alla programmazione, parola spesso usata e altrettanto spessa rimasta a mera enunciazione di intenti. Le competenze dello Stato e della Regione sono diverse e talvolta si intrecciano, detto questo da più parti di invoca un cambio di passo da parte del presidente Alberto Cirio e della sua squadra di governo. Lei si associa in questa richiesta?
“Sì, c’è bisogno di un cambio di passo, rapidissimo. Ma c’è bisogno anche di capire in quale direzione va fatto”.

Non serve correre senza sapere dove si va, è questo che intende?
“Non possiamo più fare politiche stucchevoli che copiano quanto fatto nel passato. La situazione è di tale eccezionalità che richiede una attenta lettura di quali sono le necessità di oggi. E richiede la capacità di investire risorse non a pioggia, bensì in quei settori che con aiuti e sovvenzioni possono sperare di stare in piedi con le loro gambe”.

Detta così sembra tagliar fuori un pezzo di economia.
“Non è così. Le risorse non sono infinite e se si distribuiscono senza guardare al futuro non si va da nessuna parte. Se mi chiede quali comparti, dicono che co sarebbe l’imbarazzo della scelta. Sicuramente l’automotive, l’aerospazio, la siderurgia perché se si vuole che questo Paese sia il secondo produttore della metalmeccanica l’acciaio va prodotto in Italia e quando parliamo di siderurgia parliamo di Taranto, ma anche di Novi Ligure. E c’è la sanità. Non dimentichiamo quello che abbiamo passato in questi mesi. Fondamentale investire perché oltre ad essere deficitari di personale c’è carenza di figure professionali specifiche e ci sono il Parco della Salute a Torino e la Città della salute a Novara e poi c’è da riorganizzare tutta la rete territoriale. Ovviamente nessuno può pensare di ritenere marginale il turismo, ma qualunque comparto si prenda in esame va considerata la capacità di moltiplicazione delle rirorse investite e i posti di lavoro preservati"

Le stime su Torino, rispetto ad altri grandi centri del Nord, diceva, sono peggiori. Quanti posti di lavoro si perderanno nei prossimi mesi?
“Previsioni con dati certi non ne posso fare, ma ricordo che nella nostra regione gli occupati sono un milione e 800mila, ogni punto di disoccupazione significa 18mila persone che restano senza lavoro e le stime per il Paese indicano un aumento della disoccupazione di 3 o 4 punti, i calcoli sono presto fatti”.

Pare si vada verso una proroga del blocco dei licenziamenti, basterà?
“Il blocco dei licenziamenti ha senso con il contemporaneo rafforzamento degli ammortizzatori, ma se un’azienda chiude non c’è blocco che tenga. C’è una previsione di fonte datoriale che indica il rischio di chiusura del 30% delle imprese, particolarmente quelle piccole che spariscono senza far troppo rumore ma lasciano pesantissime conseguenze sull’occupazione e il tessuto economico”.

Nel cambio di passo che auspica, la Regione su cosa dovrebbe puntare nel limite della proprie possibilità, ma anche in spazi di manovra che non sono proprio così marginali?
“Su un corretto, rapido ed efficace utilizzo dei fondi europei, poi le politiche attive, la formazione e l’aggiornamento professionale. Serve capire cosa verrà richiesto dal mercato del lavoro e fare corsi che siano utili ai formati e non ai formatori, come purtroppo è accaduto spesso. Bisogna cercare di far incontrare la domanda e l’offerta”.

Per questo non c’erano i navigator?
“Persone quasi sempre senza preparazione e già loro precari”.

Diceva dei fondi europei, è prossima la programmazione del triennio che andrà rivista.
“Facciamo una premessa, la Regione come il Comune di Torino è fortemente indebitata e i margini di manovra sono limitati, però può e deve utilizzare bene i fondi europei, un po’ meno di 3 miliardi, unica dotazione che si può mettere in campo per favorire la buona occupazione. Se invece si dovesse andare verso un sistema a pioggia, si perderà l’ennesima occasione di programmare un futuro per il Piemonte”.

Può bastare la task force economica voluta dal governatore?
“Mi pare sia un gruppo di lavoro utile a supporto di alcuni assessorati che, presumo, al loro interno non hanno tutte le competenze e le idee necessarie per puntare a uno sviluppo credibile”.

Lei adesso dirà che ci vuole un tavolo.
“No, no. Niente soliti tavoli che danno lavoro solo ai falegnami, ma non producono nulla. Serve concretezza su specifiche proposte volte a portare investimenti, ma anche a mantenere chi già è sul territorio. E serve un patto per il Piemonte in cui tutti coloro che hanno compiti di rappresentanza possano confrontarsi e mettere a punto idee chiare e concrete per il futuro. Questa è una fase in cui non è permesso sbagliare”.

print_icon