Si privatizzano pure le strade

La recente inaugurazione del nuovo ponte di Genova, nato sulle macerie del Morandi, è sicuramente un evento straordinario per il nostro Paese. A fare la differenza rispetto ad altri tagli del nastro è il tempo di realizzazione dell’opera stessa. Un viadotto enorme, costruito in soli due anni e senza la solita penosa lievitazione dei costi e il rinvio all’infinito dei tempi di consegna.

Un fatto eccezionale, di cui non si può che prendere atto con una certa soddisfazione, ma che contemporaneamente non ci deve far dimenticare la tragedia avvenuta nell’agosto del 2018 e neppure il dolore incessante dei parenti delle vittime. Dramma dovuto anche a un malcostume politico, fatto di amicizie pericolose e clientele, che negli anni si è manifestato con il regalo di gran parte del patrimonio pubblico a società private rette da individui privi di scrupoli.

Purtroppo l’epoca delle privatizzazioni (come spesso ho scritto su questa rubrica) ha favorito capitani d’azienda molto bravi a incamerare profitti, e bravissimi a socializzare le perdite. Gli amministratori delegati, infatti, solitamente danno il massimo quando aumentano le tariffe, i pedaggi oppure i biglietti e pongono nuovi oneri sulle spalle dei cittadini, mentre si dimostrano assolutamente incapaci di investire nella manutenzione dei beni che gestiscono. Il loro motto è “Incassare il più possibile spendendo il minimo consentito”.

Accumulare guadagni senza attuare piani di investimento idonei a mantenere in funzione, nonché in sicurezza, quanto assegnato dallo Stato è un giochetto relativamente facile. Il saccheggio del patrimonio collettivo non è avvenuto solamente a danno delle autostrade, ma si è ripetuto innumerevoli volte, come dimostra quanto accaduto alla compagnia aerea di bandiera (e non solo). Sono parecchie le industrie (un tempo fiore all’occhiello del patrimonio pubblico) che sono state letteralmente regalate, tramite decreti legge o misure ad hoc, a persone dai potenti legami politici e dall’infinita avidità.

Il Covid-19 ha insegnato, a un popolo sprovveduto e distratto da temi creati ad arte, quanto sia importante poter fare conto su un sistema ospedaliero (e magari anche farmaceutico) pubblico, così come confidare su un apparato strategico pronto a intervenire direttamente nelle fasi di emergenza sanitaria, o di altra natura, senza dover necessariamente soddisfare interessi privati, oppure procurare facili guadagni agli speculatori.

La tutela della collettività non passa dai bilanci delle grandi compagnie finanziarie e degli imperi economici, bensì dalle azioni messe in campo da coloro che non hanno interessi personali. Solo chi ha una visione più alta rispetto al proprio tornaconto è nelle condizioni di poter garantire davvero alla popolazione la crescita sociale, insieme alla tutela dei diritti fondamentali.

In queste ultime settimane, solerti conduttori radiofonici si sono impegnati a persuadere il pubblico a compiere un atto di solidarietà nei confronti dei gestori dei bagni marittimi i quali, secondo costoro, sono stati obbligati ad apportare aumenti del costo di ingresso alle spiagge (ricordo “Pubbliche”) per affrontare i mancati introiti dovuti a un anno difficile (per tutti). Difesa a oltranza che ha del ridicolo: un bene comune viene sottratto alla collettività per andare a soddisfare esclusivamente il business di privati che innalzano addirittura steccati e pareti, affinché sia interdetta la vista del mare ai non paganti. Nei contratti di assegnazione di ampie porzioni del nostro litorale spariscono le tariffe agevolate, e in assenza di controlli, ai cittadini rimangono unicamente il danno e la beffa (il quadro è simile quando si tratta di impianti sportivi dati in concessione).

Alla privatizzazione non viene mai posta la parola “Fine”. Da qualche anno a questa parte addirittura le strade, le vie cittadine e le piazze sono soggette a curiose, quanto innovative, sottrazioni alle comunità di appartenenza. Torino offre numerosi esempi in merito, sia per quanto riguarda i parcheggi pertinenziali edificati sotto aree verdi o piazze del centro storico, sia laddove palazzi vetusti protetti dalla Sovrintendenza si trasformano in ricche abitazioni destinate a moderne coppie snob in cerca di “Esclusività”.

In quest’ultimo caso è tendenza recente quella di includere nelle lussuose ristrutturazioni immobiliari pure tratti adiacenti della via su cui insiste il cantiere. L’impresa, detraendo i lavori dagli oneri di urbanizzazione, risparmia in tasse e modella il selciato e il marciapiedi come meglio le aggrada, mossa da un solo fine: un tocco di classe in più, molto utile a vendere con maggior incasso.

Testimonianze tangibili di tale pratica sono riscontrabili (nel capoluogo piemontese) in via Vittorio Alfieri, e da poco in via Francesco Dallala. Solitamente vengono ristrette le careggiate riservate alla mobilità (via Alfieri), a volte si creano insensate isole pedonali (via Dallala) dotate di arredi urbani lontani dai canoni usuali della Città. Il comune, in questi casi, accetta le istanze degli speculatori privati senza battere ciglio: il risultato è una moltitudine di interventi sul suolo pubblico funzionali solo a chi li propone. La stessa repentina pedonalizzazione, risalente alla settimana scorsa, di via San Francesco da Paola è una mano tesa ad alcuni commercianti dell’area: una scelta non condivisa però con la cittadinanza residente, illogica dal punto di vista della viabilità cittadina e incomprensibile se paragonata ad altre chiusure al traffico.

In sintesi, mentre contiamo gli sbarchi in Italia di migranti provenienti dall’Africa, qualcuno si sta certamente attrezzando per inscatolare quanto prima l’aria, permettendo così di respirare solo a chi paga. La distrazione di massa sta funzionando a dovere: tra un “Tornatevene a casa vostra”, e un “Noi qui non vi vogliamo” c’è chi sorride beato perché ha appena messo le mani sull’ ennesimo pezzo d’Italia.

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