Votiamo, ma poco o nulla cambierà

Il prossimo fine settimana si voterà per il referendum per accettare o meno la riforma costituzionale che riduce il numero degli attuali parlamentari da 945 a 600. La riforma è stata proposta dal Movimento 5 Stelle a cui si sono accodati altri partiti in parlamento, ma l’evoluzione della politica è veloce e adesso al momento del voto le posizioni sono variate. In estrema sintesi il quesito è diventato un referendum sui 5 Stelle: se si vota no e quindi si rifiuta la riduzione dei parlamentari è un chiaro messaggio di scomunica dell’operato dei pentastellati. La recondita speranza di chi fa questo ragionamento è che il governo possa cadere e si possa andare a nuove elezioni. Il problema di questo ragionamento è che nonostante si tratti di una chiara sconfessione dell’operato dei 5 Stelle non è detto che il governo cada, anzi è probabile proprio l’opposto. Da quando è al governo il movimento di Grillo non fa altro che inanellare sconfitte elettorali e un ritorno al voto significherebbe un dimezzamento del numero dei parlamentari e far diventare il partito irrilevante in parlamento. Perché suicidarsi? Questo dal punto di vista politico, poi c’è quello personale dei tanti parlamentari che non saranno rieletti e torneranno nell’anonimato senza le ricche prebende che spettano agli onorevoli. Purtroppo la spallata a questo governo non può avvenire tramite le varie elezioni amministrative o referendarie. Nessuno sega il ramo sui è seduto.

Se il governo cadrà sarà per motivi interni e non per qualche sconfitta elettorale locale. Da questo punto di vista il quesito referendario dovrebbe essere valutato nella sua oggettività e non sull’eventuale segnale da mandare ai grillini. La riduzione del numero dei parlamentari comporta sicuramente una riduzione della spesa pubblica, anche se piccola confrontata al monte totale delle spese dello Stato, a fronte di una riduzione della rappresentatività. Bisogna precisare che le decisioni prese in parlamento sono fatte da un ristretto numero di parlamentari e non tutti i 945 onorevoli hanno lo stesso peso. Non a caso viene usato il termine peones per quei parlamentari, quasi invisibili, che si limitano ad eseguire le decisioni dei rispettivi partiti. Questi uomini e donne hanno il loro momento di gloria in momenti cruciali quali i voti di fiducia in cui si determina la sopravvivenza di un governo. Momenti in cui anche un singolo voto può fare la differenza e finalmente il peone diventa importante. Questo spiega anche il fenomeno del trasformismo, quando un singolo parlamentare passando da un gruppo all’altro può finalmente contare qualcosa. La riduzione del numero dei parlamentari diminuirà il numero dei peones in parlamento, ma sicuramente aumenterà il potere delle dirigenze dei partiti. Questo potrebbe ridurre il fenomeno del trasformismo, ma concentrando il potere in mani di pochi, anche se di fatto già adesso il numero di chi prende le decisioni importante è ridotto. A parte la riduzione dei costi, c’è la speranza che cambi qualcosa? Purtroppo crediamo di no. Quello che si può sperare è una maggiore efficienza dei processi decisionali che finiranno sempre più nelle mani delle segreterie dei partiti. L’unica cosa certa è il risparmio, secondo le stime più prudenti di circa 60 milioni di euro, che per quanto pochi rispetto all’ammontare totale della spesa pubblica, sono pur sempre un risparmio.

print_icon