I tre meriti politici di Renzi

Ha trasformato il Pd in un "partito della nazione", imprimendo "velocità" nel dibattito e "coraggio" nell'azione. Un leader che ha cambiato profondamente l’immagine, il ruolo e lo stesso progetto della formazione democratica

Premetto che alle primarie di un anno fa del Pd ho votato per Gianni Cuperlo - e questo non solo per l'antica amicizia, lui segretario nazionale della Fgci ed io dirigente nazionale dei giovani Dc, ma anche per la sua concezione del partito nell’attuale vicenda politica - ma dopo 12 mesi credo sia onesto e corretto rilevare i tre grandi meriti, almeno a mio parere, che hanno contraddistinto e caratterizzato la segreteria politica dell’attuale Presidente del Consiglio Renzi.
 
Al di là di ogni giudizio affrettato o, peggio ancora, trasformistico, credo sia importante rilevare i tre aspetti che hanno cambiato in profondità la stessa “mission” politica del Partito democratico. Innanzitutto il 40,8 per cento dei consensi registrato alle recenti elezioni europee ha trasformato il Pd da “partito di centro sinistra”, seppur rilevante, ad un “partito della nazione”. Come ha opportunamente e acutamente rilevato a più riprese il politologo Ilvio Diamanti. Una trasformazione che segna anche un nuovo ruolo e una nuova strategia politica per il più grande partito italiano. È indubbio, infatti, che quando un partito raggiunge risultati elettorali del genere – al punto che molti osservatori e opinionisti hanno parlato del Pd come della “nuova Dc” - cambia il suo progetto politico per la semplice ragione che aumenta la responsabilità politica e, al contempo, la rappresentatività sociale e culturale del suddetto partito. E il merito principale, se non esclusivo, di questo risultato è indubbiamente riconducibile al principale leader del Pd, cioè il suo segretario nazionale. Al punto che nel Pd, e nella politica italiana, ha ripreso quota la tesi della cosiddetta “vocazione maggioritaria” del Partito democratico di veltroniana memoria. Cioè della possibilità di poter aspirare al Governo solo attraverso il Pd e senza l’avallo e l’alleanza con altri partiti.
 
In secondo luogo Renzi ha introdotto la categoria della “velocità” nel sonnacchioso dibattito politico italiano. Una velocità, e un attivismo, che ricordano molto quello praticato negli anni '50 e '60 da un altro grande toscano, l’aretino e statista democristiano Amintore Fanfani. Almeno così raccontano gli storici e i commentatori di cose politiche. Una velocità che può anche sfociare nella sola politica degli annunci ma è indubbio che questa nuova metodologia ha introdotto una ventata di novità nella politica italiana. Al di là delle stesse ricadute concrete che ci saranno nei prossimi mesi. E la recente abolizione del Senato, malgrado le “comprensibili ed umane resistenze” di larga parte degli attuali inquilini di Palazzo Madama, segna un punto importante e decisivo nella strategia politica di Renzi. A partire proprio dal suo coraggio nell’intraprendere un’azione di rinnovamento, di cambiamento e di modernizzazione dell’impianto istituzionale del nostro paese.
 
In ultimo il “coraggio”, appunto, nell’individuare l’obiettivo e superare gli ostacoli che si possono frapporre sul suo cammino. Certo, il tutto deve avvenire senza rinunciare al profilo democratico e partecipativo del Partito democratico. E, al contempo, il Pd non può diventare un partito dell’“uomo solo al comando”. Come, del resto, non è diventato in questo primo anno di segreteria Renzi del partito.
 
Insomma, la segreteria di Matteo Renzi ha cambiato profondamente l’immagine, il ruolo e lo stesso progetto politico e culturale del Pd. Un partito che oggi non è più visto e dipinto come il semplice “prolungamento”, seppur aggiornato e corretto, della storia politica e culturale della sinistra italiana ma come un partito che è destinato a governare il paese per molti anni in virtù del suo nuovo ruolo e della sua nuova “mission” politica. E questo merito, piaccia o non piaccia, è ascrivibile prevalentemente al suo segretario e attuale Premier Matteo Renzi.

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