Caro sindaco, questa è la vera Torino

La città si è impoverita, aumentano le diseguaglianze, cresce la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. La crisi è ormai sistemica Per questo non è più tollerabile la propaganda degli annunci enfatici e ottimistici quanto privi di riscontro con la realtà

Caro Signor Sindaco,
è ormai il terzo Natale che mi permetto di inviarLe gli auguri per le festività e soprattutto per l’anno nuovo che tra poco inizierà.
 
Il tempo passa e la nostra Torino è sempre più lacerata da un divario sociale drammaticamente in crescita. Si sta quotidianamente consolidando una fascia sempre più consistente di cittadini in condizioni vulnerabili; oltre un decimo della popolazione Torinese vive in povertà assoluta e crescono coloro che rischiano di passare allo stato di povertà dall’oggi al domani: nuclei mono genitoriali, anziani, famiglie numerose, famiglie straniere, lavoratori precari e giovani disoccupati. 
 
Non solo. Siamo in una città in cui la crisi ha accentuato la polarizzazione dei valori immobiliari tra le diverse zone urbane: i valori crescono dove erano già alti e calano dove erano più bassi. Il rapporto Rota ha evidenziato come 14 quartieri su 27 abbiano estremizzato la propria posizione e il destino dei quartieri è andato divaricandosi. La Torino dei ricchi è sempre più ricca; quella dei poveri è sempre più povera. Sul fronte degli affitti è esploso il problema degli sfratti per morosità: nel capoluogo piemontese dal 2007 al 2013 sono più che triplicati, passando da 1.222 a 4.064.
 
Signor Sindaco, questi dati sono drammatici. E non è vero, come ha sostenuto, che la “Torino ricca” sia una leva positiva per la “Torino povera”; infatti la politica ha fallito proprio in quello che dovrebbe essere uno dei suoi compiti principali: diminuire il divario sociale e non accrescerlo.
 
Nonostante la oramai consolidata divergenza di vedute su molte questioni, sono certa che questa non sia la Torino che né Lei né io vogliamo. Eppure, Signor Sindaco, una cosa ci differenzia profondamente, lo abbiamo anche più volte constatato in aula: lei tende a dipingere una realtà che non c’è anche con annunci infelici come quello del dicembre scorso: “Nel 2014 Torino fuori dalla crisi”. Ha ancora qualche asso nella manica per rendere vera entro pochi giorni questa affermazione?
 
Pur cercando di comprendere la sua necessità di instillare ottimismo, non posso tollerare questa sistematica mistificazione della realtà che si avvicina più alla propaganda che all’ottimismo del futuro: chi amministra ha il dovere di raccontare in modo lucido e trasparente cosa accade. La smetta di sbandierare dinamismo e grandi trasformazioni dichiarando che “Torino è la città più dinamica di Italia”, di annunciare tramite conferenze stampa progetti faraonici da qui al 2026 per coprire, forse, ciò che fino ad oggi non è stato fatto, di raccontare che la capacità di investimento della città non è calata quando è sufficiente vedere i numeri del nostro esiguo bilancio per capire che non è così. Smetta di dire che la ex Fiat continua ad avere lo stesso ruolo nella nostra città perché sì, signor Sindaco, ne prenda atto una volta per tutte, nel totale silenzio di chi governa ai vari livelli istituzionali, dopo aver preso in giro i lavoratori che hanno perso diritti a fronte di investimenti mai fatti, Fiat ha, di fatto, abbandonato la nostra città, impoverendola ulteriormente. È davvero fiero di questa FCA signor Sindaco?
 
La nostra Torino è entrata in una profonda crisi sistemica: le aziende chiudono, i giovani non trovano lavoro, le attività commerciali lasciano sfitti i negozi, molte vie – anche del centro – sono un susseguirsi di serrande abbassate.
 
L’emergenza è diventata, purtroppo, un fattore costante e stabile, tanto da far perdere di significato la stessa parola. Non si tratta più di un momento passeggero, di una piccola o grande crisi economica, dalla quale prima o poi si uscirà e tornerà tutto come prima. Le risorse sono sempre più scarse, il modello industriale, produttivo e sociale è ormai attraversato da terremoti che ne stanno cambiando la conformazione.
 
In questo contesto, anche quest’anno ci siamo ritrovati nell’impossibilità di tradurre le nostre priorità politiche e le nostre visioni della società in interventi di bilancio. Per l’ennesima volta, pur per colpe che non le imputo, abbiamo approvato il bilancio “previsionale” a settembre.  A questa imperante incertezza si è aggiunta l’arroganza del Governo che lei ha spesso sostenuto con grande entusiasmo, che a pochi giorni dalla scadenza dell’approvazione dei bilanci degli enti locali ha tagliato, direi notte tempo, una parte consistente del fondo di solidarietà. Signor Sindaco, siamo realmente in una emergenza democratica: tanto la maggioranza quanto l’opposizione sono esautorate delle loro prerogative garantite dalla Costituzione, dalla legge e dallo Statuto della nostra Città. Il Governo che avrebbe dovuto cambiare l’Italia mi sembra che sia invece un presidio della continuità del piano inclinato che l’Italia ha intrapreso e per il quale non esistono freni. Lo posso affermare perché lei, signor Sindaco, non solo in qualità di primo cittadino di Torino ma, ancora di più, quale Presidente dell’ANCI, poco o nulla è riuscito a fare per bloccare questa ennesima violenza del Governo centrale nei confronti dei comuni d’Italia.
 
Le risorse a nostra disposizione sono sempre più esigue e, anche per questo, non può esserci nel cittadino nemmeno il minimo dubbio che anche solo un singolo centesimo di quanto spende l’ente pubblico non sia impegnato nel miglior modo possibile. Purtroppo oggi non è così. I recenti scandali non fanno altro che alimentare il clima di sfiducia e la continua mortificazione degli enti e delle istituzioni. Il delicato rapporto tra fisco e cittadino si incrina sempre più e nei contribuenti cresce la sensazione di incapacità di spesa e di redistribuzione da parte dell’ente a cui pagano le tasse. E allora, è proprio quando le risorse sono limitate e la sfiducia è alta, che il pubblico deve interrogarsi su come ricreare un rapporto di fiducia con i suoi cittadini, domandandosi come usare e ridistribuire quelle poche risorse che ci sono in modo ottimale, trasparente e meritocratico. Mi rendo perfettamente conto che il tema del Suo portavoce sia un piccola goccia nel mare del bilancio comunale, ma è anche da quella goccia che, quasi fosse di nero inchiostro, il rapporto con i cittadini può essere macchiato. Credo Lei abbia letto della sentenza della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna per un caso analogo: non le è sufficiente per fare “mea culpa” e porre immediatamente un rimedio?
 
In ogni caso, ciò da cui non possiamo più prescindere, è un modello in cui vengano ridefiniti gli strumenti urbanistici, finanziari e fiscali su cui fare leva. Dal punto di vista urbanistico, ad esempio, è impensabile che il motore di sviluppo per la riqualificazione continui ad essere il grande centro commerciale: così scarichiamo su altre fasce, quali i piccoli commercianti, gli effetti drammatici della crisi. L’obiettivo dell’amministrazione deve essere di rivitalizzare le comunità e questo deve avvenire anche attraverso la leva della progettazione urbana: ogni quartiere ha le proprie dinamiche e la sua comunità e la comprensione e la soddisfazione delle esigenze delle persone devono essere il cardine delle scelte. Ridisegnare il territorio e decidere il proprio modello di trasformazione urbana incide fortemente anche sul modello sociale e culturale con cui vogliamo disegnare questa città. Il luogo e lo strumento di aggregazione che vogliamo incentivare è il grande centro commerciale secondo un modello standard oppure un sistema policentrico che valorizzi le specificità, come una via pedonalizzata, il commercio di prossimità o i nostri mercati cittadini? Cosa vogliamo per noi e per i nostri figli: aree pubbliche aperte, magari cogestite da giovani e anziani, o il corridoio di un mega supermercato?
 
Ripensare un modello di sviluppo sostenibile in questo contesto è molto complesso ma è necessario farlo tutti insieme. Sindaco, giunta, maggioranza, opposizione e soprattutto la cittadinanza.
 
Come si può, però, dimenticare la triste vicenda della sponsorizzazione di Lottomatica, accettata da Lei e dal Suo Assessore Braccialarghe, contro gli indirizzi espressi dal Consiglio? Come pensa possa sentirsi un consigliere che ha lottato per l’approvazione di un indirizzo per poi vederselo disatteso con tale arroganza dalla giunta?
 
Signor Sindaco, come pensa di poter godere della fiducia dei cittadini se, come avvenuto per AMIAT, fa una promessa pubblica e poi la disattende? Lei decise di dismettere il 49% della società garantendo che il 51% sarebbe rimasto della città. Come ha potuto, poi, rimangiarsi quanto detto e procedere con una ulteriore dismissione?
 
Il rapporto cittadino-istituzione deve essere ridefinito ponendo al centro il ruolo partecipativo del cittadino stesso e in questo la riforma del decentramento alla quale stiamo lavorando può avere un ruolo fondamentale. Mi auguro che il ridisegno della città non sia ridotto ad un triste conteggio di spartizione di poltrone e di calcoli elettorali. Avere 10 circoscrizioni con 250 consiglieri che amministrano circa 6 milioni di euro non è più sostenibile: avrà la forza, Sindaco, per portare avanti questo percorso di riforma con il Consiglio nell’interesse collettivo?
 
Signor Sindaco, a 3 anni e mezzo dalla sua elezione a Primo Cittadino, la Gran Torino che aveva immaginato non si vede nemmeno all’orizzonte e la tempesta che stiamo attraversando sembra non volersi placare, anzi, ha acquisito di intensità. Mi chiedo, dunque, se vorrà finalmente imprimere un nuovo corso alla sua amministrazione, ispirato più alla verità che a un bieco ottimismo privo di riscontri nella realtà.
 
A Lei che rappresenta tutta la Città, auguro un buon Natale e un 2015 aperto verso la speranza.
 
 
*Chiara Appendino, consigliere comunale di Torino, MoVimento 5 Stelle
 

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