Fantasticherie e cultura a Torino

La vivacità si misura nelle persone, nel gran numero di studenti, negli insegnanti, nelle scuole d'arte o di circo, centri di fotografia, danza, scrittura, scultura. Non è dando soldi in modo isolato e assistenziale che si aiuta, ma facilitando la libertà

Il 31 marzo scorso, si è parlato un po’ di cultura a Torino, in parte in un cinema affittato dal M5s in parte a un incontro al Centro Pannunzio di via Maria Vittoria. Come capita in questi periodi, è emerso il tradizionale borbottio sul fare cultura a Torino: sulle periferie, sulle poche risorse alle associazioni, sull’area metropolitana, sull’informazione (scarsa).
 
Nella stessa giornata, Torino è stata capace di esprimere un momento di vera cultura, in quel nostro modo riservato, che neppure si viene a sapere. Un centinaio di fortunati hanno assistito all’adattamento teatrale delle Rêveries d’un promeneur solitaire (Le Fantasticherie) di Rousseau, nell’ambientazione di una delle aule in cui aveva insegnato Cesare Lombroso in corso Massimo D’Azeglio, con l’emiciclo, i banchi di legno e la grande lavagna d’ardesia. La pièce era scritta e recitata in francese dagli studenti maturandi del Liceo D’Azeglio e del Lycée français. Avevano usato pochi mezzi, molta intelligenza e molto garbo, miscelando arte e la filosofia che viene insegnata nei due istituti, con musiche, buon canto di una schiera di più giovani, luci, immagini e suoni, scardinamento temporale della trama, macchine ottocentesche, relazioni di genere, senso della vita, la Francia, Ginevra, Torino e il Monferrato. Nel pubblico era vivissima sensazione di essere in Europa ed europei. Emergeva la competenza e la convinzione di chi ha pensato la collaborazione culturale tra i due licei, di chi accolto la pièce fornendo il simbolismo culturale, e di chi l’ha guidata insegnando cultura e filosofia. Era teatro, non una recita scolastica, i giovani non erano soltanto attori, registi, fotografi, costumisti, ma parte di un processo di trasmissione tra generazioni di una responsabilità: quello della continuità e dell’innovazione nella produzione culturale.
 
Bisogna allora prendere un po’ di distacco dal borbottio pre-elettorale. La vivacità della cultura a Torino si misura nelle persone, nel gran numero di studenti, anche internazionali, negli insegnanti, nelle scuole d’arte o di circo, centri di fotografia, danza, scrittura, scultura, e anche creatività tecnologica. Alla fine, è nella libertà e nella capacità di creare e combinare spazi (l’aula del Lombroso), strumenti (tre istituzioni culturali),  idee (arte e filosofia, Rousseau), persone e competenze (studenti, professori, tecnici, team leader) che si fa produzione culturale. Non è dando soldi in modo isolato e assistenziale che si aiuta la produzione, ma facilitando la libertà di fare cultura.
 
È un cambiamento di visione e di politiche, anche per il Comune di Torino e per le politiche culturali piemontesi. I soldi sono finiti, la tendenza all’orientamento (politico) che essi producono viene un po’ meno (per fortuna), e si vede la strada da percorrere. Ci lavora Antonella Parigi con l’idea che la cultura possa generare lavoro e sviluppo partendo dalle iniziative libere e dalla creazione d’impresa. È nelle nuove azioni, per quanto faticose, che combinano le risorse – intelligenze, spazi, solo parzialmente denaro, e soprattutto volontà: cioè collaborazione orizzontale e condivisione. Per le politiche pubbliche, sono vecchi schemi da abbandonare, è una trasformazione in corso con nuove azioni da adottare, sostenere e promuovere.
 
*Enrico Martial, Cantiere dei Moderati, Scelta Civica
 

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