Ricostruire il Pd, dopo il ko

Sostenere che abbiamo perso nonostante si sia ben amministrato significa mostrarsi disonesti con i nostri elettori. Dobbiamo riconoscere gli errori commessi e porvi rimedio

Le ultime elezioni comunali hanno consegnato la città di Torino ad un’amministrazione totalmente rinnovata, all’interno della quale il Partito Democratico rappresenta, per la prima volta dopo 23 anni, la seconda forza politica e non più la maggioranza. Perdere il governo di una città per cui il Pd ha dato e ha fatto tanto, è sicuramente doloroso e molte parole e riflessioni sono già state spese per spiegare le ragioni di questa sconfitta.

Oggi però, nonostante i risultati elettorali, Torino continua ad essere la nostra città ed è nostro primario interesse continuare a prendercene cura, come e forse anche di più, rispetto a quanto fatto in passato.

Per questo occorre, considerato il nuovo ruolo che il partito svolgerà nell’amministrazione comunale, individuare alcuni punti fermi che ci guidino nella costruzione di un’opposizione efficace, intelligente e costruttiva.

RICOSTRUIRE - Uno dei maggiori punti di forza del Partito Democratico risiede certamente nella sua lunga storia, nel fatto che affondi le proprie radici in una cultura politica ed amministrativa di lungo corso, profondamente radicata nella società e nel contesto italiano. Di questa storia non possiamo dimenticarci nel momento di costruzione della nostra strategia politica, anche se troppo spesso essa diventa motivo di divisione interna e di aspre contese. Alle spalle abbiamo 23 anni di governo della Città di Torino, dopo i quali possiamo orgogliosamente dire che l’abbiamo vista cambiare e che questo cambiamento è frutto di un grande lavoro di cui siamo stati i maggiori promotori.

Tuttavia, se queste elezioni sono andate diversamente da come previsto dai nostri dirigenti, abbiamo certamente il dovere di interrogarci e di comprendere quali siano stati gli errori.

Continuare a sostenere che si sia perso nonostante si sia ben amministrato significherebbe mostrarsi intellettualmente disonesti nei confronti dei nostri elettori, né la dialettica tra vecchio e nuovo basta a spiegare tutto. Evidentemente, nonostante alcuni importanti risultati conseguiti, l’amministrazione ha mancato nel dare le risposte convincenti che i cittadini si attendevano: diversamente non si spiegherebbero le decine di migliaia di voti persi soprattutto nelle aree periferiche, nonché questa voglia dei torinesi di mandarci a casa, percepita in modo chiaro e netto da tutti coloro che hanno fatto campagna elettorale porta a porta, pancia a terra.

La sconfitta ha origini molto lontane, del resto il M5s è sempre stato un nostro prodotto, è nato e cresciuto a causa degli errori del Pd. Occorre riconoscere questi errori, porvi rimedio o li ripeteremo e ci garantiranno altre delusioni elettorali ed altri anni all’opposizione in Consiglio a Torino.

Incisivo per la sconfitta è sicuramente stato inoltre l’alto livello di conflittualità che albergava all’interno della macchina amministrativa: in Giunta tra gli assessori, tra la Giunta ed il Consiglio, tra Palazzo Civico e le Circoscrizioni. Gli elettori ci hanno percepito unicamente come “gestori del potere consolidato” anche perché noi ci percepivamo (e ci rapportavamo con la città), come se fossimo “senza alternativa”.

In definitiva possiamo dire che se in passato, per mantenere e accrescere il consenso, il PD si era sempre basato saldamente sul suo radicamento territoriale e su un forte rapporto con la popolazione, che veniva gestito attraverso il grande lavoro dei circoli locali e degli amministratori eletti, bisogna riconoscere che nell’ultimo periodo proprio questi legami hanno rivelato una crisi profonda e strutturale. I canali di comunicazione con la società si sono ristretti, fin quasi a chiudersi.

Per questo occorre, oggi più che mai, tornare fra le persone. I nostri circoli hanno visto una progressiva ed inarrestabile flessione della partecipazione e del numero degli iscritti, abbiamo perso il contatto con alcune delle realtà organizzate presenti sui territori (ad esempio Comitati di quartiere o di cittadini) e abbiamo notevolmente ridotto la nostra presenza nelle piazze e nei mercati, ad eccezione del periodo strettamente elettorale. Questo ha generato, con il passare del tempo, un graduale scollamento fra il Partito Democratico e la cittadinanza, che di conseguenza ha comportato una generalizzata perdita di consenso di cui abbiamo preso coscienza solo dopo la sconfitta elettorale.

E’ necessario quindi tornare a ripopolare i circoli con iniziative sui territori, discutendo con cittadini e militanti le problematiche dei quartieri e della città.Potrebbe essere interessante provare ad immagine un nuovo format di Feste de l’Unità, distribuite nei quartieri e nel corso dell’anno invece che centralizzate in una sola manifestazione e in un solo momento.

Un altro fronte da recuperare è certamente quello dei Comitati, dei gruppi spontanei di cittadini variamente organizzati in base ad esigenze ed interessi. La connessione con il tessuto civico passa anche da un dialogo costruttivo con le realtà territoriali, comprese quelle di natura più antagonista, con lo scopo di ascoltarle ed indirizzarle progressivamente verso una cultura di Governo.

In questo scenario, bisogna investire sul livello amministrativo circoscrizionale, dal quale possono partire e al quale possono approdare nuove progettualità e nuove mosse di strategia politica.Soprattutto qui è nostro dovere oggi, come partito, essere al fianco degli amministratori, rilanciare e sostenere le loro politiche e renderli protagonisti di questo percorso di riavvicinamento ai cittadini. Loro conoscono gli umori, le esigenze e i progetti che più stanno a cuore alla cittadinanza, perché sono costantemente a contatto con la più semplice ed immediata quotidianità di ogni individuo.E’necessario inoltre armonizzare la loro azione politica con quella dei Consiglieri comunali, al fine di creare uno scambio virtuoso e proficuo di informazioni e proposte. Sarebbe interessante realizzare incontri regolari fra amministratori comunali e circoscrizionali, soprattutto per scambiarsi impressioni e per costruire strategie di opposizione comuni e coerenti. Questa è una pratica che il Movimento 5 stelle attua regolarmente per garantire uniformità alla propria linea politica e per colmare le forti lacune dei molti amministratori inesperti che popolano le loro fila. Per il Partito Democratico questa sarebbe invece un’occasione per condividere buone prassi e per ritrovare lo spirito di comunità politica ed amministrativa che spesso pare smarrito. Raccontarsi e programmare l’amministrazione di persona, può sicuramente essere più arricchente che limitarsi ad una catena di condivisioni e like su facebook o sui social network.

LA SINDROME DEL PAESELLO - Se da un lato sarà centrale concentrarsi sul rapporto con i cittadini, dall’altro sarà sicuramente altrettanto importante continuare a lottare, all’interno e all’esterno dell’amministrazione comunale, per difendere la Torino aperta, metropolitana, europea ed internazionale che abbiamo orgogliosamente costruito in questi anni.

Il Movimento 5 stelle ha vinto queste elezioni usando una strategia che non ci è mai appartenuta: proporre soluzioni semplicistiche per problemi complessi.Torino è la terza grande città italiana per PIL pro-capite, dopo Milano e Roma, la quarta per popolazione residente, ma la seconda per produzione industriale. Amministrare un luogo simile con soluzioni da “paesello” rischia di fatto di trasformare una grande realtà in una cittadina periferica, mortificandone completamente le potenzialità e le vocazioni. Rifiutare la complessità è una posizione politicamente molto miope ed immatura, ed in questo quadro il Partito Democratico resta l’unica forza politica in grado di mantenere alta l’attenzione su temi centrali ed importanti per lo sviluppo ed il rilancio di Torino. Demonizzare i grandi eventi e i grandi progetti farà si che questi migrino in altri luoghi, così come troppo spesso è successo in passato con imprese e aziende, riducendo le occasioni di visibilità nazionale ed internazionale e relegando la città ad un ruolo subalterno. Con ricadute in termini di qualità della vita, di ricchezza diffusa, di opportunità sociali ed economiche che colpiranno tutti.

Tuttavia sullo scontro tra grande e piccolo, tra centro e periferia, gli elettori si sono espressi per un’idea di città diversa da quella che abbiamo noi, anche per i limiti con cui la abbiamo interpretata in questi anni.

Ilsistema di finanziamento della cultura della Città di Torino nelle aree periferiche non è stato in grado di individuare nessun percorso innovativo per far fronte alle scarse risorse, estenuando, in questo modo, gli operatori culturali. La stessa Fondazione per la Cultura concentrava gli sforzi economici sui grandi eventi dimenticando la dimensione territoriale. Sono venute meno non solo le risorse economiche, ma anche una programmazione di medio periodo. Sarebbe stato utile istituire dei piccoli, ma importanti, presidi culturali che avrebbero potuto produrre ricadute positive sui residenti di zone più periferiche e sviluppare anche politiche di cultura più popolare e diffusa sul territorio, sulla falsariga dello schema organizzativo, invece apprezzatissimo, del Salone OFF del “Salone del Libro”, la cui regia però è in capo alla Fondazione per il Libro.

Il rapporto con le periferie, soprattutto quelle della zona Nord di Torino, e con la fascia di popolazione più disagiata è stato inoltre ampiamente sottovalutato. Qualche anno fa, se n’è avuta qualche avvisaglia: il fatto che in Piazza Derna fosse situato il centro della manifestazione dei Forconi e che la piazza fosse stata il luogo dove la rivolta si è dimostrata più violenta è stato già molto indicativo. Protestavano contro lo Stato, ma anche per la mancanza di lavoro, per le condizioni di degrado del patrimonio ATC, per l’abbandono di alcune aree di quei quartieri, per la lontananza dei servizi sociali in quelle zone.

Avere come unica risposta al problema sociale il fatto che il Comune non ha tagliato sui servizi sociali, quando le persone in difficoltà sono aumentate enormemente negli anni della crisi, è una risposta assolutamente insufficiente e, probabilmente, una Giunta di Centrosinistra avrebbe potuto e dovuto fare scelte politiche forti in tal senso. A cominciare da una variante urbanistica che avrebbe impattato molto positivamente sulla situazione di degrado di alcune aree nella zona Nord di Torino, come la Variante 200, che non è mai riuscita a decollare, per finire col tema della scarsa attenzione della Giunta per le manutenzioni, questione sicuramente meno aulica delle grandi prospettive di sviluppo della Città, ma comunque molto sentita dai cittadini.

Se questa dimensione, fondamentale per lo sviluppo di una Città con delle ambizioni, è stata caricaturizzata in “il PD è il partito delle grandi opere e dei poteri forti”, è colpa nostra. I progetti complessi non si spiegano da soli; le loro ricadute, in là negli anni, non sono evidenti; i benefici collettivi vanno dimostrati. Non solo abbiamo mancato in questo, ma reagendo male a questa dialettica del piccolo contro il grande, abbiamo confermato l’idea che sia impossibile coniugare la grande progettualità con la manutenzione ordinaria, la cura delle periferie, la dimensione del quartiere. Cosa non vera.

E anche oggi pensare che le nostre proposte si autoaffermino, che la risposta alla visione grillina sia l’irrisione e la sufficienza è sbagliato: bisogna convincere e spiegare con uno stile aperto al dialogo e al confronto.

In quest’ottica uno dei primi temi da affrontare è senza dubbio quello della Città metropolitana, che non può e non deve più essere considerata come un tema accessorio e marginale.Abbiamo finalmente l’occasione di portare avanti una progettazione condivisa, di unire i punti di forza che un territorio così vasto può mettere a servizio della crescita comune. La Città Metropolitana ha una enorme potenzialità in settori quali il turismo, la produzione enogastronomica, i distretti industriali e formativi. Un territorio che deve trarre ricchezza dalle diversità, uscendo da egoismi e campanilismi che troppo spesso hanno compromesso la collaborazione reciproca e ci hanno impedito di essere sufficientemente ambiziosi. Torino ha bisogno di diventare sempre più innovativa e competitiva, sotto tutti i punti di vista, e l’unione di realtà fra loro differenti per caratteristiche e criticità può essere d’aiuto nel disegnare un percorso futuro più ampio e più diversificato.

L’attuale partito di governo spesso tende a scegliere soluzioni piccole e caute, che possono essere strumenti sufficienti per tamponare alcune emergenze ma che, sul lungo periodo, tenderanno inesorabilmente a limitare lo sviluppo complessivo della città, illudendola di recuperare una impossibile dimensione “bucolica” di piccolo paese. Non possiamo permettere che Torino torni indietro, che perda la sua vocazione europea ed internazionale, che smetta, per la paura di osare, di dialogare con il mondo esterno per chiudersi in una visione di mero “disbrigo degli affari correnti”.

UN NUOVO CORSO - Anche a livello di Partito ci sono state pesanti mancanze, non essendo stato mai possibile confrontarsi sulle scelte dell’amministrazione, cercando di almeno smorzare la scarsa attenzione della Giunta per quanto riguarda la manutenzione del verde ed i lavori pubblici minuti in giro per la Città.

Inoltre il Partito in 5 anni si è depauperato incredibilmente di forze di volontariato ed ha perso le basi dell’organizzazione che servono per vincere le elezioni: è stato incredibile vedere i seggi, a parte pochi coraggiosi, completamente sguarniti da nostri rappresentanti di lista e di candidati, che non si sono neanche presentati al momento dello scrutinio. Questo è segno di un eccessivo correntismo, che ha distrutto i circoli del PD a livello territoriale: esso non ha sviluppato infatti circoli virtuosi dove la competizione tra le varie anime del Partito portasse ricchezza e partecipazione nel dibattito e avvicinasse nuovi pezzi di società interessati a dialogare con noi, bensì circoli viziosi, dove lo spinto clientelismo di bottega ha portato a creare quote per le correnti anche per l’assegnazione delle nomine dei rappresentanti di lista, indirizzate solo a dare la giornata lavorativa libera ai nominati e non a fare un reale servizio per il Partito e per il progetto politico che rappresentiamo.

La questione all’ordine del giorno non sono le dimissioni immediate dell’attuale gruppo dirigente: la scelta di candidare Fassino è stata ampiamente condivisa e nessuno ha obiettato o proposto candidaturealternative. Ora vi sono altre priorità, ad esempio il referendum.

E se è doveroso proporre un’opposizione rigorosa e non aprioristica nei confronti della giunta di Chiara Appendino è fondamentale individuare gli errori commessi e correggerli, al fine di ritornare politicamente competitivi, per essere pronti a riproporre un’alternativa vincente di governo per la Città, appena se ne presenterà l’occasione.

Questa sconfitta potrebbe farci bene, a patto di possedere la volontà e la forza per cambiare rotta. In questo senso occorre “Ripartire dai Fondamentali”, ricominciare ad ascoltare la Città, in particolare le necessità e le richieste basilari dei cittadini, e ricostruire una classe dirigente in grado di interpretarle,basata sulle capacità e sul merito e non sulla cooptazione e la spartizione correntizia.

Alla luce di quanto detto appare evidente che abbiamo di fronte anni impegnativi e strategici, che non possiamo sprecare tra ripicche, faide interne, personalismi e protagonismi. Se trascorreremo questi anni tra accuse reciproche, perderemo di vista il nostro vero obiettivo, che è quello di riconquistare la fiducia degli elettori e di ricostruire un legame con i territori e con la città.

Sarà nostro dovere far emergere puntualmente tutti i limiti del governo di una forza politica che non ha una visione della Città né una visione del mondo. Sarà nostro dovere cercare di portare il nostro contributo nelle istituzioni e difendere i progetti e le proposte che stanno a cuore al nostro partito. Sarà nostro dovere presidiare alcuni campi strategici come il lavoro, l’innovazione e la cultura, segnalando l’inconsistenza e la vacuità delle soluzioni populiste che spesso ci vengono propinate.

Comincia per il Partito Democratico un nuovo corso che, se affrontato in maniera costruttiva, potrà rappresentare per tutti noi un momento di grande crescita interna e di forte rafforzamento esterno.

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