Non basta cambiare un pronome

I sondaggi rimangono impietosi anche dopo il Congresso del Lingotto del PdR. Infatti, tutti concordano nel ritenere che l’assemblea di Torino non abbia affatto contribuito a rilanciare l’immagine ammaccata di Renzi. Il Pd continua a perdere consensi e il 41% dei voti ottenuto alle europee appare ormai come il risultato elettorale di un’altra epoca storica.

Mi stupisco dello stupore. Perché gli elettori che alle ultime elezioni amministrative e al referendum costituzionale hanno bocciato Renzi e la sua politica dovrebbero cambiare opinione dopo aver ascoltato i discorsi del Lingotto, sia di Renzi che di quei leader della sinistra (i Martina, i Fassino e i Chiamparino) che gli sono andati in soccorso? Alcuni commentatori hanno sottolineato come al Lingotto si sia cercato di offrire l’immagine di un partito più collegiale e meno personale, ma non basta tornare a chiamarsi “compagni” e usare il “noi” al posto dell’“io” per ricucire lo strappo che si è  consumato con settori profondi della società.

Le novità avrebbero dovuto essere ben altre e interessare sia la linea politica che le scelte programmatiche, ma queste non ci sono state. La linea emersa al Lingotto è infatti in totale continuità con la politica renziana di questi anni, la stessa che gli elettori hanno disapprovato.

Ho l’impressione invece che si continui a ragionare come il Renzi del Lingotto fosse lo stesso di tre anni, ma così è. Molti degli elettori che avevano creduto in lui non sono più disposti a rinnovargli quella apertura di credito perché oggi sono nella condizione di poter giudicare non solo le promesse ma anche i fatti. A un leader si possono perdonare gli errori, purché vengano riconosciuti seriamente e si dimostri di aver capito la lezione e di voler voltare pagina, ma non l’attitudine a dire una cosa, e poi, fare il suo contrario. Renzi invece in questi anni ha detto tutto e il suo contrario: ha invitato Letta a stare sereno nello stesso momento in cui gli stava scrivendo la lettera di sfratto, ha annunciato che se avesse perso il referendum avrebbe abbandonato la politica e invece al Lingotto si è ricandidato alla guida del Pd e punta alla riconquista di Palazzo Chigi, ha negato l’adozione di alcuni provvedimenti, salvo poi inserirli al primo posto dell’agenda di governo e ha continuato a “raccontare” una Italia lontana mille anni luce dalle condizioni materiali di vita delle persone che avrebbe dovuto rappresentare. Domando: perché gli elettori dovrebbero tornare a fidarsi di lui?  Vincere le primarie serve a poco se poi si perdono le “secondarie” e cioè le elezioni vere.

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