Una rottura politica

Sempre più viene richiesto a coloro che hanno abbandonato il Pd o da tempo ne criticano la politica e le scelte, di riconoscere che Renzi è il segretario del Pd. Se il problema è riconoscere che le Primarie lo hanno rieletto  segretario del Pd “nulla questio”, ma non penso che ci si riferisca a questo. E io credo che lo dimostrino l’ostinazione con la quale Renzi dichiari di non essere disposto a fare accordi con coloro che se ne sono andati e il tentativo di circoscrivere a coloro che hanno votato Sì al referendum costituzionale la possibilità di sottoscrivere accordi. Una pretesa assurda, oltre che un prova di arroganza, visto che tra coloro che hanno votato No vi è un bel pezzo del popolo della sinistra.

In realtà Renzi, il Pd e coloro che ci invitano a riconoscerne la leadership pensano che questo debba valere anche in una futura alleanza di centro-sinistra ma questo e tutt’altro che scontato. Anzi, non lo e affatto. Se non fosse cosi non ci sarebbe stato nessun bisogno di “rifondare” il centrosinistra e di dar vita ad un Campo di forze largo e unitario che segni una discontinuità con le politiche di questi anni e con la leadership che le ha realizzare, dividendo proprio quel Campo che il progetto di Pisapia vuole viceversa ricostruire  per restituire una prospettiva e una speranza di rinnovamento a milioni di persone che non hanno più votato per il Pd di Renzi. Se non fosse cosi non avrebbe avuto alcun senso abbandonare il Pd. La rottura non è avvenuta per ragioni di simpatia o antipatia tra le persone, ma per ragioni politiche e per le scelte programmatiche che sono state compiute che hanno rappresentato una cesura con le idee dell’Ulivo e della sinistra riformista.

Consiglio a tutti di leggere l’ultimo libro di Prodi,che si configura come un vero e proprio programma di governo, il quale  mette in discussione alcuni “postulati” della politica del governo Renzi. La parola d’ordine è discontinuità che significa “interruzione della continuità”. Con che cosa? Con le politiche portate avanti in questi anni. Discontinuità che peraltro richiede la stessa minoranza interna avanzando valutazioni e critiche non molto diverse da quelle che compiono coloro che sono impegnati a costruire un nuovo Campo Progressista, ampio, unitario e inclusivo. Il contrario di una difesa a oltranza delle politiche che sono state sin qui realizzate, per esempio per quanto riguarda le politiche del lavoro e del fisco e della  disponibilità ad accettare un ritorno al proporzionale o a dar vita sul piano politico ad una alleanza con Berlusconi in chiave antipopulista. È del tutto evidente come un nuovo centrosinistra per essere credibile e riavvicinare alla politica quegli elettori che, sentendosi traditi, lo hanno abbandonato, rifugiandosi nel non voto o votando per altri, abbia bisogno di esprimere insieme ad un nuovo programma di governo, una leadership che non sia divisiva e sappia riscuotere la fiducia di quel popolo che dovrà poi sostenerla.

I leader non possono andare bene per tutte le stagioni politiche e, se sconfitti, dovrebbero avere l’umiltà di fare un passo di lato nell’interesse del Paese.

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