Una sinistra di popolo

Sabato a Roma la sinistra che vuole cambiare questo Paese, nei fatti e non solo a chiacchiere come invece  è  avvenuto in questi anni, si è  rimessa in moto. Patetico il tentativo di presentarla come una sorta di cartello del No e non invece come il tentativo di riorganizzare il centrosinistra nel segno di un’unità vera, più ampia e inclusiva e di alcune importanti riforme economiche e sociali.

Senza questo fatto nuovo sarebbe stata compromessa definitivamente la possibilità di ricostruire una coalizione di centrosinistra di competere alla destra il governo del Paese. Non è un’impresa dall’esito scontato perché la rottura che si è consumata con una parte del nostro elettorato è profonda, ma senza la decisione di costruire un nuovo soggetto la partita non si sarebbe neppure potuta giocare. È un progetto che va perseguito con coraggio e determinazione, senza riserve mentali e con la massima apertura per coinvolgere e rimotivare le persone.

Renzi a Milano ha mostrato ancora una volta di non capire cosa stia succedendo nel Paese e quali siano gli orientamenti che stanno prevalendo all'interno della opinione pubblica. Continua a ragionare come se la sua candidatura alla guida del governo fosse vincente, nonostante tre sonore sconfitte elettorali. Per questo non esclude un’ alleanza con “Insieme”, ma alla condizione che non vengano messe in discussione la sua leadership e quelle politiche che gli elettori hanno bocciato e non escludendo un accordo con Berlusconi. Renzi e coloro che lo sostengono fingono di non vedere che sono la sua leadership e la reiterazione delle politiche realizzate in questi tre anni a rendere  possibile una vittoria della destra (una destra a trazione leghista) alle prossime elezioni.

Gli interessi del Paese non possono essere sacrificati sull’altare delle ambizioni personali e della bramosia di potere di una persona il cui unico obiettivo è quello ritornare a Palazzo Chigi, come se la sua leadership e le politiche del suo governo non fossero alla base dello smottamento elettorale subito dal Pd, che in tre anni ha perso un terzo dei voti. E se il leader non se ne rende conto dovrebbero essere quelli che gli stanno intorno a farglielo capire. In un partito plurale e nel quale al comando non vi sia una sola persona dovrebbe funzionare così.

Nessuno degli elettori che in questi anni si sono rifugiati nell’astensionismo è disposto a recarsi alle urne per votare per una coalizione e/o un partito che indichino Renzi come candidato Presidente per realizzare un programma in continuità con le politiche del suo governo su lavoro, fisco e scuola. Lo hanno già fatto e poi si sono pentiti e non hanno alcuna intenzione di rinnovargli un’apertura di credito, anche perché ha continuato a dare molte prove di inaffidabilità. Renzi per primo dovrebbe sapere cha la sua candidatura sarebbe divisa e che dopo tre sconfitte elettorali un leader dovrebbe fare un passo di lato, prendendo atto del giudizio espresso dagli elettori. Di più: l’esperienza di questi tre anni dovrebbe aver dimostrato che il conflitto destra-sinistra non può essere sostituito da quello tra vecchio e nuovo.

E per questo che il Vinavil non è sufficiente, solo e non tanto perché non sempre funziona, ma perché non si tratta soltanto di ri-mettere insieme i cocci di un partito e/o una alleanza che non si è rotta per colpa della spigolosità del carattere delle persone, ma a seguito di un dissenso radicale sulle politiche.

La necessità di operare una discontinuità con le politiche e la leadership nasce da qui. Un’alleanza di centrosinistra sinistra senza il Pd difficilmente potrà vincere le prossime elezioni, così come non avrà alcuna possibilità di vincerle un Pd che continui a coltivare la propria autosufficienza. Ma una nuova alleanza per essere credibile e vincente, dovrà fondarsi su una nuova leadership, diversa da quella di Renzi, e su un programma che segni una rottura radicale con le politiche realizzate in questi anni perché solo cosi potrà riconciliarsi, cosa non facile, con una parte del proprio popolo.

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