Donat-Cattin e i poteri forti

Caro Direttore,

Abbiamo letto con interesse e curiosità l'articolo pubblicato sabato sullo Spiffero sul “declino” di Torino, il sindaco Appendino e le giunte del passato. Il nostro intervento, molto breve, verte solo sull’ipotetico ruolo svolto dall’allora ministro Carlo Donat-Cattin in merito ad alcune scelte sul futuro della città.

L’articolista parla del rapporto tra il leader della sinistra sociale della Dc ed Enrico Salza. Donat-Cattin sicuramente stimava e aveva una spiccata simpatia per Salza. Di Lui apprezzava soprattutto la sua “schiena dritta” nel confronto in sede industriale con gli Agnelli. Ma, al contempo, possiamo garantire - per averlo conosciuto e soprattutto per aver condiviso le sue scelte concrete - che, essendo scomparso nel marzo 1991, il più autorevole Ministro del Lavoro e Industria del secondo dopoguerra non avrebbe mai benedetto un’operazione politica, come quella varata a Torino nel ‘93, che pensava ad una Torino senza manifattura e solo votata al “loisir”, alla cultura e al turismo.

Per Donat-Cattin la Fiat doveva rimanere a Torino e la manifattura era centrale nel suo progetto di politica industriale per questa città e per il futuro di questo territorio. Donat-Cattin, che nel 1976 fu l’unico ad opporsi al trasferimento del Samia, il Salone della Moda a Milano, difficilmente avrebbe potuto accettare che la Direzione Generale della Telecom se ne andasse da Torino. E così la sede della Sai e la sede amministrativa dell’Oreal. È anche facile prevedere, pur sempre parlando al condizionale come ovvio, che avrebbe sicuramente polemizzato, con la forza che Tu ben ricordi, contro il No della Fiom al piano degli investimenti dell'amministratore delegato della Fiat a Mirafiori.

Così come avrebbe forse compreso prima degli altri che l'arrivo della produzione della Maserati era importante ma non avrebbe creato posti di lavoro aggiuntivi rispetto a quelli esistenti. Per non parlare del trasferimento della sede fiscale della Fiat a Londra...

Ma è inutile proseguire in un elenco ipotetico perché qui parliamo di un “leader” politico e non di un “capo” passeggero che, per citare De Gasperi, “guardava sempre alla prossime generazioni e non alle prossime elezioni”.

In ultimo, caro Direttore, rileggendo proprio il magistero politico di uomini come Donat-Cattin, possiamo tranquillamente sostenere che il “declino di Torino” non nasce certamente dalle non scelte della giunta Appendino anche se, adesso, l’amministrazione Appendino-Montanari rischia di trascinare la città ancora più in basso.

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Far parlare i morti è esercizio più da medium che da giornalisti, perciò mai ci sogneremmo di attribuire intenzioni “postume” a Carlo Donat-Cattin. I fatti però confermano che a volere e sostenere Enrico Salza alla guida della Camera di Commercio di Torino, all’epoca uno dei centri del potere subalpino, fu proprio Donat-Cattin, decisione poi confermata dal successore Guido Bodrato. Da cavallo di razza (non solo della Dc) qual era riteneva che solo un’alleanza tra le forze produttive e borghesi della città avrebbe assicurato la modernizzazione della capitale dell’auto e, soprattutto, indotto i comunisti alla maturazione politica e alla compiuta adesione democratica. Poi avvenne quel che avvenne. (bb)

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