Un moderno partito liberalsocialista

Nadia Urbinati intervenendo nel dibattito sulla crisi del Pd (“Se la Sinistra dimentica il Socialismo”, La Repubblica del 9 giugno 2018) ha colto finalmente nel segno quando ha stigmatizzato, tra le altre cose, come la carenza identitaria e di proposta politica di tale partito derivi anche dalla scelta deleteria di quanti, anziché ancorare il Pd nell’alveo della tradizione socialista, preferirono “consapevolmente” – pur di non dare ragione alla Storia - rimuoverla in nome di un indistinto “democraticismo” dall’incerto avvenire.
 
Un’ambiguità identitaria che nemmeno i fondatori hanno mai saputo compiutamente chiarire (salvo aderire opportunisticamente al gruppo parlamentare europeo del Partito Socialista Europeo) e che ha finito per rendere il Pd una sorta di “ossimoro politico”, l’incarnazione vivente del celebre adagio montaliano : “Una sola cosa sappiamo: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
 
Ebbene, se si vuole evitare che la sinistra scompaia definitivamente condannandosi all’irrilevanza, appare più che mai indispensabile ritornare ai fondamentali della politica, ripartendo – per parafrasare Asor Rosa - da alcuni “pilastri di saggezza” il primo dei quali consiste nella rivalutazione di quelle culture politiche la cui improvvida rimozione ha contribuito non poco a realizzare quel deserto ideale che caratterizza l’attuale dibattito politico e nel quale prospera l’incultura sovranista e populista che ha avuto, tuttavia, il merito di far tesoro della regola prima dei tanto bistrattati partiti d’un tempo: il radicamento territoriale e la capacità di ascolto dei bisogni della gente.
 
Di qui la necessità di prendere serenamente atto del sostanziale fallimento politico del Pd e del suo progetto politico, promuovendo la formazione di una vera costituente per la formazione di un moderno partito liberalsocialista che rappresenta il naturale approdo di una moderna sinistra riformista e liberale. Un partito che si richiami espressamente alla tradizione del socialismo liberale in modo tale che, per una volta, nomina sunt consequentia rerum.
 
“Il socialismo - affermava Carlo Rosselli – è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente”. Un partito nuovo che, partendo dalla presa d’atto di quelle che Guido Calogero, con linguaggio quanto mai attuale, definiva le “insufficienze
 
unilaterali del liberalismo e del socialismo” - che la storia e la cronaca di questi ultimi decenni si sono incaricate di dimostrare massimamente sul piano socio-economico - sviluppi un serio programma in nome della “coerente pienezza del liberalsocialismo”.
 
Non si tratta, come pure qualcuno potrebbe pensare, di un vetusto ideologismo superato dalla Storia, quanto della necessità di recuperare un po’ di quella “cultura politica” che altro non è se non l’indispensabile corredo di cognizioni intellettuali applicate alla cura della cosa pubblica che nasce dall’esperienza e si consolida attraverso lo studio e l’interazione di conoscenze storiche, politiche, economiche, culturali, sociologiche, applicate al contesto di riferimento, nel tentativo di comprendere e governare i fermenti ed i mutamenti del nostro tempo. Un bagaglio di conoscenze ed esperienze rielaborate e filtrate attraverso i sempiterni valori di giustizia e libertà propri della tradizione politica del socialismo democratico e riformista.
 
Da questo punto di vista occorre lavorare ad un programma politico che facendo proprie, in qualche misura, le ragioni e le analisi sottese alla fine delle “grandi illusioni” (Amato-Graziosi “Grandi illusioni” Il Mulino) che hanno condotto il Paese nelle attuali condizioni, porti a nuova sintesi i valori di libertà e giustizia sociale e si faccia finalmente carico di un nuovo “contratto sociale” – per rimanere nella metafora rousseauiana tanto di moda - inteso a riequilibrare le finanze pubbliche ed a ridisegnare un nuovo e selettivo Stato sociale che garantisca solo ed esclusivamente i ceti effettivamente meno abbienti.
 
Per fare ciò bisogna ritornare a radicarsi tra la gente con proposte chiare e convincenti rivalutando la forma partito ed opponendosi con forza alle suggestioni ed all’insopportabile vulgata populista di quanti considerano i partiti e le istituzioni rappresentative anziché un “valore” semplicemente un “costo” per la democrazia.
 
Si tratta di un impegno di lunga lena per affrontare il quale occorre adoperarsi per formare una classe politica che dimostri di avere una statura personale e morale almeno pari a quella che gestì la ricostruzione del nostro Paese creando le premesse del successivo miracolo economico. Una classe dirigente veramente disposta a mettersi in gioco anteponendo il superiore interesse del Paese ai propri destini personali. Diversamente, senza un orizzonte ideale, un chiaro programma ed un’adeguata leadership politica in grado di giustificare le
 
ragioni di un’appartenenza, la sinistra rischia di essere nel panorama politico italiano nemmeno più un’espressione geografica.

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