Governo Lega-M5s, interessi comuni

Si sta ridisegnando il campo tra destra e sinistra in Italia? Oppure ciò che sta succedendo è un fenomeno destinato ad esaurirsi nel giro di un certo numero di anni non appena i cittadini toccheranno con mano le scelte compiute dal governo attuale? È una domanda a cui è impossibile rispondere perché le variabili sono tante e molto dipenderà dalle scelte e dai comportamenti di alcuni attori politici. Quel che è certo è che l’esito di un tale processo è tutt’ altro che scontato. Molti si erano convinti che il M5s una volta al governo avrebbe ben presto fatto ricredere molti degli elettori che lo avevano votato. Per il momento i fatti dimostrano il contrario. 

Il centrodestra si va riorganizzando attorno alla leadership di Salvini. I suoi alleati tradizionali hanno un bel da dire, ma il fatto che al governo ci sia la Lega e che sia la Lega a realizzare le politiche del centro-destra lo pone in una condizione di assoluto vantaggio competitivo.

Il contratto di governo Lega-M5S  non rappresenta la sintesi o “un compromesso” tra progetti e programmi diversi. È la somma delle proposte degli interessi dei due partiti con i quali Lega e Cinquestelle cercano di consolidare il rapporto con i rispettivi elettorati, non senza conflitti come quando si affronta il tema della infrastrutture a cui la Lega, più attenta alla esigenza del Nord produttivo, è sensibile perché potrebbe incrinare il rapporto con una parte del suo elettorato. Interessi e riferimenti sociali diversi che configurano una sorta di “divisione  del lavoro” nel mercato della politica. La Lega si rivolge ad un elettorato di destra, il M5s non vuole perdere per strada gli elettori di sinistra che l’hanno votato il 4 marzo, abbandonando il Pd o non votando per Leu. Comune è l’obbiettivo di usare l’attuale esperienza di governo per rafforzarsi. Il fatto è che i sondaggi stanno dando loro ragione.

Comune è la volontà di mettere in discussione l’Europa a favore del sovranismo, comune è la rinuncia a farsi carico dei vincoli che ne derivano come ha dimostrato la decisione di alzare l’asticella del rapporto deficit-pil, sfidando l’Europa e i mercati e non curandosi delle conseguenze che alcune decisioni potrebbero avere sulla sostenibilità del debito e la credibilità dell’Italia. Comune è la consapevolezza che dal successo della esperienza di governo attuale dipenda il futuro dei rispettivi partiti che, finita questa fase, potrebbero contendersi il governo del Paese.

Per quanto riguarda la sinistra, che rimane l’assillo di chi scrive, molto dipenderà dal modo in cui saprà reagire alla crisi attuale che non è solo politica e elettorale: è una crisi di identità e di leadership che mette in luce la difficoltà a definire un nuovo pensiero che è cosa radicalmente diversa da una rivisitazione da sinistra delle politiche moderate.

Allo stato nulla fa ritenere che vi sia la forza e la capacità di reagire essendo evidente il divario che esiste tra la portata della sfida e il dibattito interno che prevalentemente sembra obbedire  a logiche di posizionamento e di potere. Non tutto è compromesso, ma non c’è più tempo da perdere. Occorrono nuove idee, leadership nuove e credibili, occorre avere il coraggio di chiamare per nome e cognome gli errori compiuti in questi anni e avanzare un nuovo progetto per l’Italia e l’Europa.

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