Caso Rosso, dov'è lo stato di diritto?

 

Come non condividere sulla detenzione dell’ex assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso quanto scritto su queste pagine da Igor Boni, presidente dei Radicali Italiani? Non è questione di essere garantisti o giustizialisti, due termini che non aiutano ad approfondire nel modo più opportuno il tema della “Giustizia Giusta”. Qui si tratta di pretendere dal nostro sedicente Stato di Diritto un comportamento consono ad un vero Stato di Diritto, uno Stato dove nessuno, neanche un magistrato, deve e può trovare cavilli interpretativi per eludere leggi e/o principi costituzionali. L’attività inquirente è un lavoro estenuante, complesso, articolato, denso di responsabilità, dove non possono trovare prassi le scorciatoie e le semplificazioni dettate dalla fretta di trasformare, attraverso un accurato lavoro di indagine, i sospetti in atti di accusa.

In questi ultimi tempi si è parlato, e si continua a parlare, di comportamenti impropri di alcuni magistrati; se così fosse, il problema è certamente grave ma penso che non sia esaustivo ritenere che la malagiustizia sia dovuta solo ad interessi di bottega degli attori che, di volta in volta, sono coinvolti. Purtroppo il problema è, se possibile, ancora più inquietante e grave. Se abbiamo un congiunto in sala operatoria per una qualsivoglia operazione chirurgica, quale può essere il nostro desiderata se non sperare che il chirurgo sia qualificato e con esperienza sull’intervento che dovrà eseguire? Così come, se siamo su una nave nel bel mezzo di una tempesta speriamo che il capitano, e tutto l’equipaggio, abbia una solida esperienza e capacità di gestire il naviglio in tutte le circostanze meteorologiche. Invece, quando si tratta di amministrazione della Giustizia, che ha importanti implicazioni sulla libertà del cittadino (libertà che tutti, dal Presidente della Repubblica sino all’ultimo parlamentare, ci dicono essere il bene supremo del popolo), la cosa rilevante non è la capacità di indagine degli inquirenti ma solo la loro possibile appartenenza ad una corrente o a una fazione politica.

Il problema è che un magistrato viene giudicato principalmente sulla sua onestà più che sulla sua capacità tecnica. La stragrande maggioranza dei cittadini teme, e deve temere più di ogni altra cosa, che il magistrato, che ha in mano la sua pratica, non sia in grado, anche solo perché troppo oberato, di valutare i fatti con le più opportune metodologie di Analisi di Processo (Reti di Petri), analisi che permetterebbero di correlare tra loro azioni, fatti e persone per verificare le responsabilità in modo oggettivo e di conseguenza evitare di istruire processi, che dopo aver provocato disagi ai cittadini e costi alla pubblica amministrazione, vengono archiviati per vizio di forma o perché il reato non sussiste.

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