Patrimoniale unica, anche in Italia

In Italia il Pil del 2020 è atteso a -11%, un’azienda su tre è a rischio chiusura entro 12 mesi, il 38% delle famiglie è in arretrato col pagamento di mutui, affitti e rate in genere, il debito pubblico ha raggiunto 2.500 miliardi (il 170% sul Pil) e la disoccupazione il 12%. Per nostra “fortuna” tale sfracasso non riguarda solo noi ma pressoché l’intero pianeta: il paletto che delimita l’area dei guai si è spostato per tutti assai in avanti. Ecco quindi arrivare dalle istituzioni nazionali e comunitarie i decreti Liquidità, Rilancio, poi i fondi del Mes, quelli Recovery; insomma in astratto una tale magnificenza di miliardi da lasciar tutti tranquilli, sennonché di tranquillità non c’è traccia e da un mese a questa parte si è tornati a parlare a mezza bocca, come usa, di tassazione sugli immobili.

Puntualmente, quando qualunque governo prende a interrogarsi a proposito del reperimento di risorse per finanziare gli investimenti, la spesa sociale, la ripresa e così via, si finisce col tassare gli immobili. Tali imposte - inique in quanto a carico di una sola asset class - sono peraltro triplicate a partire dal 2012, vedendo sino allo scorso maggio trasferita complessivamente ricchezza dai privati allo Stato per la bellezza di 205 miliardi: in nove anni. Si tratta di una chemio-tassazione che ha - senza enfasi - ucciso il settore immobiliare e con esso la sterminata filiera dell’indotto di primo e secondo livello, vale a dire circa il 20% del Pil; resta quindi il mistero di come possa ripartire la nostra economia se un comparto che vi concorre in modo tanto determinante viene afflitto da una fiscalità di così palese svantaggio.

Per sua stessa natura una imposta patrimoniale che colpisca solo alcune tipologie di investimenti e non altre, determinerà inevitabili distorsioni. È infatti paradossale che se nel nostro Paese si dispone di una qualunque giacenza di conto corrente, in linea capitale nulla è dovuto al fisco; quando si opta per trasformare in titoli del debito pubblico tale provvista, idem; se ci si muove in direzione di azioni, obbligazioni o fondi, solo da qualche tempo viene patita una trascurabile fiscalità sul possesso, per nulla paragonabile a quella immobiliare. Viceversa quando si investe in mattoni, e in tal caso soltanto, scatta l’unica, vera imposta patrimoniale italiana, la cui dubbia costituzionalità si intravvede nella inflitta sperequazione tributaria tra beni egualmente patrimoniali.

Pretendere che il comparto immobiliare possa competere con qualunque altra forma di investimento ove zavorrato da simili iniquità fiscali, vuol dire chiedere di combattere con due mani legate dietro la schiena. E tuttavia in Italia solo a far cenno ad una patrimoniale organica ci si ritrova terra bruciata tutt’intorno: sbalorditivo. Dove da sempre e senza scandalo tale aspetto hanno assai chiaro è in Svizzera, non nell’ultima ridotta bolscevica latino-americana dunque, ma nella confederazione elvetica del turbocapitalismo finanziario iper-globalizzato. In Svizzera esiste una patrimoniale che chiamano “imposta sulla sostanza” la quale trova la propria materia imponibile nel complessivo patrimonio netto del contribuente, comunque rappresentato o denominato. Una vera e propria imposta patrimoniale pertanto calcolata sulla sostanza netta (sostanza lorda meno i debiti): beni immobili, beni mobili come titoli e depositi bancari, assicurazioni, autoveicoli, oggetti d’arte, ecc. Si paga ogni anno, ogni anno si aggiorna la base imponibile in ragione della mutata dimensione del patrimonio del contribuente e, a differenza di quanto accade da noi, non si paga sui debiti: in presenza quindi di un mutuo sulla casa o sull’automobile, verrà tassata quella parte di valore priva di debito in quanto essa soltanto rappresenta “sostanza” del contribuente; non sfuggirà come la nostra Imu al contrario non preveda alcuna simile distinzione finendo assai spesso col tassare un debito.

In ogni cantone svizzero, inoltre, è prevista una franchigia, un importo cioè al di sotto del quale l’imposta non è dovuta, mediamente 100mila franchi; infine, da cantone a cantone, l’entità del tributo varia da 0,11% a 0,958%, in media attorno a 0,5%. Non c’è dubbio che tra l’Italia e la Svizzera vi sono grandi differenze tributarie che vanno certamente annotate. Le imposte reddituali dirette, tanto sulle persone fisiche che giuridiche, sono da loro assai più basse che da noi; quelle indirette sono addirittura un terzo: l’aliquota Iva massima è del 7,7% anziché il 22% dovuto prima di Chiasso; una bassa imposta patrimoniale che si confronta con un generale livello di tassazione anch’esso contenuto, incontra una naturale disposizione all’adempimento, non senza tacere sanzioni terribilmente dissuasive in ipotesi di frode all’erario elvetico. Ma ben posto in chiaro tutto ciò, è l’impianto generale di una patrimoniale organica che occorre osservare e comprendere, superando ubbie diffusissime e per lo più ideologiche: una patrimoniale sul modello elvetico non è bestemmiare in chiesa, bensì invocare anche in Italia eguale trattamento tributario tra una allocazione di patrimonio rispetto ad un’altra.

Attesa l’irrinunciabile invarianza di gettito per l’erario, è quindi necessario rimodulare dagli immobili a tutto il resto – in chiave pienamente compensativa – il complessivo gravame fiscale. Secondo Banca d’Italia (2019), la ricchezza nazionale netta ha raggiunto 10 mila miliardi di euro: il 45% circa in attività mobiliari e finanziarie, e la parte restante in beni immobili d’ogni genere (residenziali, produttivi, commerciali, etc). Il conto diventa a questo punto elementare: riequilibrare sull’intero patrimonio degli italiani la fiscalità oggi sopportata dai soli immobili, vorrebbe dire ridurre poco oltre la metà quanto a carico degli stessi a saldi di finanza pubblica immodificati. Che si tratti di giacenze di conto corrente, di azioni, obbligazioni, fondi, polizze o immobili, questi debbono essere indistintamente assoggettati a una imposta patrimoniale o sulla sostanza chiamata a colpire l’entità del controvalore degli stessi, non già la loro natura: solo agendo sul complessivo patrimonio dei contribuenti in luogo di parte di esso potrà essere rimediato lo strabismo fiscale che ha sin qui negato eguale trattamento intersettoriale. Generalmente, una volta esposte tali argomentazioni, tocca subire un largo ventaglio di stupidaggini o meglio di balle da quanti, certissimi, profetizzano che in tal modo la ricchezza mobiliare prenderebbe la via dell’espatrio a tutto danno della nazione; senza venire a noiosi tecnicismi, non resta che suggerire – da Padoan a Gualtieri – un soggiorno-studio in Svizzera così da far propria la metodologia che tassativamente impedisce distrazioni patrimoniali, nella quale i nostri vicini d’oltralpe, com’è noto, hanno vasta consuetudine. Una “patrimoniale” mutuata dal modello elvetico ossia innanzitutto equa, ed in quanto equa correttamente redistributiva, ed in quanto correttamente redistributiva di modesta entità giacché ripetibile, ed in quanto ripetibile necessariamente di modesta entità e pertanto equa, è uno strumento – solo a tali condizioni – che oltre a sanare le descritte disparità tra mobiliare e immobiliare, restituirebbe al nostro Paese credibilità – di cui da tempo difettiamo - tanto sui mercati finanziari quanto nei consessi internazionali; in ogni caso una simile imposta patrimoniale non potrà non far parte della più generale fiscalità di ogni moderno stato occidentale, presto o tardi chiamati a correggere gli effetti scatenati dall’ingresso della Cina nel Wto nel 2001 ovvero dall’inizio della cosiddetta globalizzazione. Il formidabile sarcasmo della Storia infine fa sì che tale insegnamento – equità e redistribuzione – ci provenga proprio dalla Svizzera.

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