Grandi imprese, grande evasione

Da anni nel Belpaese non passa giorno che, sia dal governo di turno sia dalle associazioni sindacali e dai media, non si lancino strali per denunciare l’evasione fiscale quale la più grande delle piaghe, causa del nostro perenne navigare in acque economico-sociali tempestose. Che l’evasione fiscale debba essere combattuta con decisione è sacrosanto, ma attribuire la “lettera scarlatta” di grande evasore a determinate categorie, quali piccole imprese, artigiani, partite Iva, e definire vittime dell’evasione lavoratori dipendenti e pensionati, è quantomeno curioso. Ma chi evade di più in Italia?

L’evasione fiscale, nel nostro Paese, è quantificabile in circa 110 miliardi di euro all’anno ed è interessante verificare chi evade, in che modo evade e quali sono i canali preferiti per evadere. Secondo l’analisi recentemente elaborata dal Centro studi di Unimpresa, la fetta maggiore di denaro sottratto alle casse dello Stato ammonta a oltre 98 miliardi di euro, il resto, circa 11 miliardi di euro, sono contributi non versati all’Inps. L’evasione Irpef, il prelievo sui redditi delle persone fisiche, è di circa 38 miliardi, segue l’Iva, con quasi 36 miliardi di mancati introiti. Si hanno poi, nelle imprese, ulteriori 15 miliardi di evasione sommando gli 8,2 miliardi di Ires (imposta reddito societario) e i 6,5 miliardi di Irap (imposta regionale sulle attività produttive). Ma non è tutto, mancano all’appello circa 5 miliardi di Imu e 1,4 miliardi di accise sui prodotti energetici, in particolare carburanti.

Per esempio consideriamo l’evasione Iva: le imprese, e di norma le partite Iva, ogni volta che erogano una prestazione aggiungono in fattura il 22% di Iva che riceveranno dal cliente e riverseranno allo Stato. Per altro, quando acquistano un bene/servizio, anch’esse ricevono una fattura maggiorata di Iva, ma possono sottrarre l’Iva che riconoscono al fornitore da quella che loro devono versare allo Stato per le vendite. Purtroppo ciò non avviene per i privati cittadini, utilizzatori ultimi di beni/servizi, i quali sono tenuti a pagare questa tassa sul valore aggiunto senza alcuna possibilità di recuperarla. Se si ricorre ad un’impresa artigiana per effettuare un lavoro a casa nostra ed il costo dell’intervento è di 1.000 euro, la fattura che l’impresa emetterà, e che il cliente pagherà, sarà di 1.220 euro di cui 220 (Iva) verranno corrisposte dall’impresa al fisco.

Quindi a chi conviene evadere? Certamente il cittadino privato ha interesse a pagare l’artigiano “in nero” in quanto evita di pagare i 220 euro di Iva e la piccola impresa artigiana ha interesse ad essere pagata senza fattura perché, abbassando il suo livello di fatturato, pagherà meno tasse sul suo reddito.

Facendo un rapido calcolo: se una ditta artigiana fattura annualmente 100.000 euro deve: a) detrarre le spese per materiali/servizi e quindi calcolare l’imponibile: supponiamo che ci siano circa 30.000 euro di spese e quindi un’imponibile di 70.000 euro (paragonabile al lordo aziendale di un dipendente); b) pagare l’Inps: 18000 euro; c) pagare l’Irpef: 23.370 euro; d) pagare l’Irap: 2.730 euro. A conti fatti nelle tasche dell’artigiano restano 25.900 euro (poco più di 2.100 euro al mese per 12 mensilità). Se l’imprenditore non emette fatture per 20.000 euro, la sua evasione è di: 5.140 euro (Inps) + 8.050 euro (Irpef) + 780 euro (Irap) uguale 13.970 euro (portando la mensilità a poco più di 3.800 euro al mese per 12 mesi, a scapito di un minor valore della sua futura pensione). Inoltre i clienti hanno una minor spesa di 4.400 euro che rappresenta l’Iva non pagata.

Un lavoratore dipendente che percepisce uno stipendio con costo aziendale di 70.000 euro, riceve netto nelle sue tasche poco più di 30.000 euro (circa 2.500 al mese su 12 mensilità) con la liquidazione a fine rapporto, l’eventuale fruizione di ammortizzatori sociali (cassa integrazione), la garanzia di percepire lo stipendio in caso di malattia e, ultimo ma non ultimo, non ha rischio d’impresa (non può fallire evitando tutte le spese e le conseguenze legali che ne derivano).

In Italia, per la lotta all’evasione fiscale, si è adottato un sistema che corre il rischio di punire maggiormente partite Iva e piccole imprese spesso costrette a non pagare regolarmente le tasse per necessità e non per arricchirsi indebitamente: sovente chi evade o paga in ritardo, chi non ottempera a tutti gli obblighi legati alle norme tributarie è perché versa in una situazione di estrema difficoltà. Sempre Uninpresa afferma che “con le misure introdotte nell’ultimo decreto legge, i super poteri che consentiranno all’Agenzia delle Entrate di trasferire informazioni alle procure della Repubblica sono misure che lasceranno il segno, colpiranno i più deboli e probabilmente on risolveranno a fondo il problema del denaro sottratto all’amministrazione finanziaria perché sarà punito chi non ha liquidità”. Questa affermazione è sicuramente preoccupante visto lo “stato di sofferenza” della Magistratura ed in particolare delle Procure della Repubblica in Italia (carenza di personale, informazioni, competenza, metodologie, ecc.).

Non sono pochi i casi di imprenditori che si trovano di fronte ad un bivio: onorare un adempimento fiscale o pagare lo stipendio ai dipendenti? Spesso l’imprenditore preferisce pagare lo stipendio ai lavoratori, sia per consentire alle famiglie di fare la spesa sia per continuare le attività al fine di tenere in vita l’impresa.

L’evasione più dannosa per lo Stato, cioè quella fraudolenta e non di sussistenza, è l’evasione/elusione prodotta per lo più dalle grandi aziende e dalle multinazionali dell’industria e della finanza, aziende che hanno la possibilità di aggirare la normativa fiscale (elusione) perché è lo stesso Stato Italiano a consentire tale azione attraverso le norme di legge.

La Cgia (confartigianato imprese che rappresenta più di 700mila imprenditori artigiani) dichiara che, in seguito ad un accertamento sulle attività economiche, la maggiore imposta media (differenza fra l’ammontare del tributo calcolato in base all’accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni dei redditi) accertata dall’Agenzia delle Entrate nel 2018, per ogni singola grande azienda sia pari a poco più di 1 milione di euro (accertate 2.224 aziende su 5.300), per la media impresa di poco più di 350.000 euro (accertate 9.986 su 56mila) mentre per la piccola impresa sia di poco più di 63.000 euro (accertate 140.238 su 5 milioni). Parrebbe quindi più sensato rafforzare l’attività di accertamento sulle piccole aziende piuttosto che sulle grandi, vista la numerosità. Tuttavia una maggiore attenzione verso le grandi imprese sarebbe auspicabile anche perché l’evasione di queste ultime, spesso domiciliate in paradisi fiscali, ricorre alle frodi doganali, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni e non alla mancata emissione degli scontrini o all’utilizzo del contante.

Di fatto l’evasione relativa alle grandi imprese è 16 volte superiore a quella delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi (come da principio di Pareto il 20% delle cause produce l’80% degli effetti). Il Parlamento europeo ha stimato nel 2016, in maniera conservativa, che il gettito evaso annualmente dalle multinazionali nei paesi Ue ammonta a 160-190 miliardi di euro. Ma allora, chi è l’evasore/elusore più dannoso per lo Stato? E chi gli consente di evadere/eludere senza nulla rischiare?

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