Dare risposte alla piazza

La piazza simbolo dei Savoia e di Torino ieri ha cercato di svegliare la politica, il Governo e i filosofi da talk show. Merito al sindacato. La nostra città è l’avamposto della crisi. A Torino la crisi batte di più perché Torino si era fermata al 2008, come denuncio invano dal 2009 e come hanno confermato nel loro libro Berta, Pichierri e Bagnasco. Per capirci negli  ultimi dodici anni Torino ha perso 10 punti rispetto a Bologna e Milano. Il “nulla sarà come prima” per adesso è molto brutto per il lavoro, in particolare per quello a tempo parziale. E il peggio deve ancora venire.

La promessa del Governo che nessuno sarebbe stato dimenticato si è capito che era solo una idea di Casalino. La norma che blocca i licenziamenti si è scaricata sul lavoro frammentato così Torino ha perso  centomila possibili avviamenti al lavoro secondo la denuncia della Uil. Ma se non ripartono subito gli investimenti nelle infrastrutture, se non riparte l’edilizia, se il Governo non rifinanzia gli incentivi alla rottamazione con almeno 1 miliardo di euro, se le banche non smetteranno di pensare solo a se stesse finanziando solo quelli che non ne hanno bisogno, l’autunno a Torino e nel Paese sarà molto più caldo di quello del 69. Allora l’economia tirava e l’autunno era caldo perché il mondo del lavoro voleva mettere fine alla stagione dei bassi salari. Questa volta è peggio, la domanda interna e quella estera sono in calo per gli effetti dei lunghi lockdown e per la paura da Covid che fa ritrarre la spesa per consumi e per turismo.

Alle forze politiche che pensano prima di tutto a dire che il Governo non rischia, ieri la piazza torinese, soprattutto nei discorsi dei delegati, ha detto che il lavoro viene prima delle poltrone e che si sta al Governo solo se si è in grado di affrontare le situazioni di crisi e se si è in grado di mettere in piedi una politica di sviluppo perché come ha detto lucidamente l’Arcivescovo di Torino Nosiglia: l’assistenzialismo può andar bene per un po’ ma non risolve i problemi.

L’unica risposta è il lavoro ma senza crescita che lavoro ci sarà. Ecco il limite più grande della piazza di ieri. Troppo light i discorsi sulle infrastrutture tipo la Tav. Non si è ancora capito che il 35% del Pil italiano è fatto di esportazioni e che nel calo della produzione industriale influisce non poco il calo delle esportazioni, cioè delle vendite all’estero dei prodotti italiani. Ma per esportare all’estero sono necessarie infrastrutture moderne e sostenibili come le nuove reti ferroviarie. Molto bene la sottolineatura sul ruolo primario della manifattura che a Torino negli ultimi due decenni veniva dopo la cultura e il turismo. Eppure dal palco che guardava il balcone della Regione e del Municipio il discorso su come utilizzare le risorse europee mi è parso troppo flebile.

L’altro limite di ieri era la scarsa presenta dei politici. Un solo deputato presente. Qualche consigliere regionale e il sottoscritto, ma noi di Sì Lavoro abbiamo nel nome la nostra missione. Perché non chiedere a Appendino e  Cirio un Tavolo allargato anche alle forze politiche per discutere il “pacchetto Torino” da inserire dentro il Recovery Plan italiano da presentare a ottobre a Roma? Io l’ho proposto ai primi di luglio con una conferenza stampa nella quale spiegavo che sugli 82 miliardi a fondo perduto al Piemonte ne spetterebbero quasi 7 perché il nostro Pil vale il 7,5% di quello nazionale. Sul giornale di Genova stamane potete leggere che Città di Genova  e Regione Liguria hanno presentato progetti per il 3% tanto vale il Pil ligure.

Trovo che a Torino i toni verso il Governo siano troppo bassi quasi a non disturbare troppo il manovratore sperando che lasci cadere qualche boccone dal tavolo. Ma se la politica non difende gli interessi del lavoro a Roma chi difenderà Torino? Non sempre la società civile trova il coraggio di scendere in piazza come abbiamo fatto noi nel 2018 per la Tav. Eppure se si pensa al totale italiano del Recovery Fund, 209 miliardi assommato ai 36 miliardi del Mes, la nostra Regione potrebbe aspirare ad averne mal contati 20 miliardi, una somma enorme pari al 15% del Pil della regione, quanto perderemo alla fine di questo anno orribile.

Con i soldi a fondo perduto del Piano Marshall, De Gasperi e i governi centristi ci diedero il Boom economico, ma Conte non sembra De Gasperi. Anche per questo io domenica 20 voterò No.

*Mino Giachino, Sì Tav Sì Lavoro per Torino

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