Torino: la scommessa del settore farmaceutico

Fino a qualche decennio fa sotto la Mole erano insediate molte aziende del settore. Ora, dopo i processi di fusione e delocalizzazione, si stanno aprendo nuove prospettive e opportunità da cogliere. Soprattutto per i giovani

Una linea guida, driver dell’azione politica dei prossimi anni a Torino, ribadita più volte sia in campagna elettorale che a seguito dell’insediamento della nuova amministrazione comunale guidata da Piero Fassino, è la centralità, nel programma, del doppio tema Lavoro e Giovani. Uno degli obiettivi individuati in quella che dovrà essere l’azione di una buona amministrazione della nostra città, sarà quindi attrarre i giovani a Torino. Portarli a vivere e lavorare qui da noi. Far scegliere loro questa città anziché altri luoghi per costruirsi un futuro. Riprendendo un concetto che ho già espresso in un precedente contributo inviato a questo giornale, ritengo che il modo migliore per raggiungere risultati durevoli e apprezzabili sia puntare innanzitutto sulla Qualità; in questo caso qualità delle opportunità di lavoro da offrire sul nostro territorio e di riflesso qualità dei giovani da attrarre a Torino.

 

Lavoro di qualità che, a sua volta, crei lavoro indotto. Io, da che ho iniziato a lavorare, prima in una società che organizza eventi e congressi medico scientifici e attualmente come responsabile vendite di una casa editrice medico scientifica, mi sono sempre relazionato con la medesima tipologia di clienti:le multinazionali del farmaco e più specificatamente le loro divisioni mktg, mediche ed amministrative. Da più di 10 anni mi rapporto con le direzioni medico marketing delle più importanti case farmaceutiche presenti in Italia e in Europa e credo di poter dire di conoscere ormai abbastanza bene le loro strutture, le loro dinamiche decisionali e la loro organizzazione interna ed esterna. Il primo dato di fatto, comune denominatore tra quasi tutte, è che sono aziende “giovani”, sia per il modo di porsi verso l’esterno, sia per il fatto che i loro dipendenti hanno una età media bassa. Io ho 39 anni e molti miei clienti sono più giovani di me. Sono aziende ricche e chi lavora da loro o per loro in genere viene pagato mediamente bene. Inoltre sono aziende dove c’è turn over. Il fatto che l’azienda X sia situata a Modena non vuol dire che dentro non ci lavorino alte percentuali di persone originarie di altre città. Creano indotto. Sono aziende che, anche solo parlando delle esigenze di comunicazione che hanno, necessitano di una vasta gamma di fornitori, da quelli più comuni a quelli più innovativi nei servizi. Sono aziende, parlando ovviamente anche solo delle filiali italiane, in genere, di grandi dimensioni dove, senza contare l’indotto, lavorano centinaia di persone qualificate e ben retribuite. Come tutte le aziende multinazionali, per mantenere nel tempo gli stessi margini guardano alla massimizzazione dei profitti ed alla minimizzazione dei costi, purtroppo spesso sulla pelle di alcuni rami d’azienda che rispetto ad alcuni anni fa non servono più (in genere le forze vendita… gli informatori del farmaco), ma anche in relazione alle localizzazioni geografiche.

 

Torino, via via sempre più scemando nel tempo, fino a qualche anno fa, è stata un polo farmaceutico. La decadenza è iniziata quando tra i ’70 e gli ’80 è andata via la Schiapparelli. Sia in quel caso, sia negli altri fino ai giorni nostri, i motivi sono stati principalmente dettati da più fattori: fusioni e accorpamenti dove le aziende del polo torinese erano quelle acquisite, un gap da colmare in merito a trasporti e collegamenti nazionali e internazionali, la non presenza in città di un ufficio distaccato di Farmindustria e ritengo, una mancanza di volontà politica finalizzata a mantenere e difendere quel tipo di distretto industriale, visto che anche quando sono state le multinazionali con sede a Torino ad acquisire un concorrente, il risultato è stata comunque l’emigrazione a Milano della sede e degli uffici (ultimo caso L’UCB Pharma pochissimi anni fa). Oggi le pharma sono localizzate a Milano e dintorni (in genere le tedesche, le svizzere e le francesi), a Roma (in genere le americane), in Toscana e alcune in Veneto ed Emilia. A parte le aziende storicamente da sempre su certi territori (ad esempio la GlaxoSmithKline a Verona) molte sono dove sono perché in loco ve ne erano già altre e perché quelle amministrazioni comunali evidentemente creano delle condizioni a loro favorevoli… di tipo logistico, politico e magari fiscale. Quello che sto notando però è che anche le new entry nel nostro Paese (ad esempio alcune pharma giapponesi o indiane) stanno aprendo, anche nell’ultimo anno, i loro uffici a Milano… posso dire che ad un headquarter che sta a Osaka, importa poco aprire una nuova filiale 120 km più a destra o a sinistra… va dove gli conviene e dove trova humus per crescere e risparmiare. Far tornare Torino ad essere un polo farmaceutico del nostro Paese potrebbe contribuire a raggiungere l’obiettivo di incrementare la presenza di giovani occupati in città? Si.

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