1° Maggio e l'ipocrita unità sindacale

Arriva il Primo Maggio, l’appuntamento per eccellenza delle lavoratrici e dei lavoratori, del movimento sindacale celebrato in tutte le piazze d’Italia da Cgil-Cisl-Uil.

Sarà un Primo Maggio da “quasi” separati in casa tra Cgil e Uil da un lato e la Cisl dall’altro. D’altra parte, è l’ipocrisia di tante manifestazioni unitarie che unitarie non sono. Non ultima la giornalisticamente celebrata manifestazione unitaria del 12 aprile a Torino, unitaria a parole ma non nei fatti. Basterebbe domandarsi perché la stragrande maggioranza del corteo con bandiere rosse anziché dirigersi sotto il palco ha deviato in via Roma. Dietro l’apparente unità si viaggia con il minimo comune denominatore tenendo un profilo basso e dove in ogni manifestazione sono ben evidenti le separazioni.

Insomma, l’apparente unità sindacale è il danno maggiore che le confederazioni sindacali possano fare all’unità sindacale, a chi lavora, a chi crede nel sindacato. Lampante caso di autolesionismo. Anziché cercare il massimo comune denominatore avviando un confronto dal basso, nei luoghi di lavoro per costruire piattaforme che non siano la somma di richieste ma sintesi unitaria, che significa anche ricercare e ricreare il clima di fiducia, il fidarsi, tra sindacalisti. Invece si preferisce veleggiare senza vento.

Le divisioni alle manifestazioni unitarie sono ben visibili. Quando l’unità sindacale era più vera e sentita ci si mischiava dietro gli striscioni, oggi abbiamo cortei a spicchi: quello rosso della Cgil, quello verde della Cisl e il blu della Uil. Sempre con un occhio per vedere chi è più numeroso e il risultato è sempre scontato: la Cgil.

La manifestazione di sabato 20 aprile a Roma di Cgil e Uil ne è l’esempio emblematico: uniti ma rigidamente divisi nella piazza, con due macchie di colore blu e rosso. Ricordo anche alcune manifestazioni unitarie a Torino dove in piazza Castello vigeva una rigida divisione della piazza e io, ritenuto il più divisivo e antiunitario, a un certo punto valicai il confine con la rossa Cgil per andare a parlare con alcuni di loro.  Questo per dire che sei più apprezzato nella tua chiarezza piuttosto che nell’ipocrisia unitaria.

Infatti, dopo la manifestazione del 12 aprile esponenti Cgil locali hanno dichiarato: e ora continua la lotta, e segretari Fim hanno sostenuto che dopo lo sciopero non basta fare un altro sciopero, ci vogliono proposte. Ecco, credo che in queste affermazioni così diverse ci sia tutto il significato o meglio il vuoto del dopo manifestazione in cui le strade si dividono nuovamente. E ci sia anche l’idea di chi è stato portato a spasso il 12 aprile e da chi.

Dunque, un Primo Maggio in cui, stante le divisioni tra le tre Confederazioni, non ha portato nemmeno a scioperi unitari di fronte alle stragi sul lavoro. Il 2024 si dimostra forse uno degli anni più divisivi, a quarant’anni da un altro Primo Maggio: quello del 1984, dove due mesi prima, il 14 febbraio, si consumò lo strappo con i comunisti della Cgil sull’accordo per la scala mobile.

Risuona invece, come una ragazzata o ripicca vetero-settaria la scelta della Cgil bolognese di utilizzare da sola piazza Maggiore, a Bologna, nel 2011, per celebrare la giornata dei lavoratori, giustificandola con gli accordi separati in Fiat e per i contratti nazionali dei metalmeccanici non firmati dalla Fiom. Ma comunque riflette sempre la contraddizione che chi cita più spesso la parola unità poi è il più settario e divisivo.

Paradossalmente le rotture dell’unità sindacale sono stati momenti storici che hanno fatto fare passi in avanti al movimento sindacale e ai lavoratori, mentre l’azione unitaria molto valida sino alla fine degli anni ’70 è stata poi bloccata da veti incrociati creando immobilismo unitario. Il 1984 con la scala mobile, i contratti dei metalmeccanici firmati da Fim e Uilm, i contratti Fiat hanno sbloccato situazioni di stallo e fatto fare balzi in avanti di conquiste sindacali. Basti pensare alla pensione integrativa, alla previdenza integrativa anche per i famigliari dei dipendenti, alla formazione, al nuovo inquadramento unico in vigore dal 1973 e quindi estemporaneo.

Ma assai più importante, le rotture dell’unità sindacale sono conseguenza di scelte fortemente basate sui contenuti, non ideologiche, almeno da parte Cisl, ma che incidevano fortemente sulla vita delle persone che lavorano. Per questo la Cisl ha scelto, a volte, i contenuti a favore di chi lavora a scapito dell’unità. Tutelare le persone è più importante dell’unità sindacale, questione di valori.

Preferisco una sana divisione in cui i lavoratori, nella chiarezza possano scegliere sulla base di contenuti veri anziché un’ipocrita unità sindacale che non porta risultati ma anzi spesso scarica le responsabilità tra organizzazioni sindacali.

Credo che sia ormai non rinviabile definire, insieme alle controparti, anche con una legge se necessario, la rappresentanza sindacale. Sarebbe una fortissima assunzione di responsabilità di tutte e tre le confederazioni, perché, riflettete bene, porterebbe anche chi oggi dice di avere la maggioranza (assoluta) a doversi prendere delle responsabilità di fronte ai “padroni”, al governo e poi spiegare ai lavoratori perché ha fatto determinate scelte e non altre. Questo consentirebbe ai lavoratori di decidere che una data rappresentanza non va bene e cambiarla. Ne nascerebbe un movimento e un fermento basato sulle scelte e quindi sui contenuti, si uscirebbe dagli sterili veti incrociati di un’unità immobile che danneggia i lavoratori. Siamo sicuri che alla fine dei conti la Cgil, che chiede a gran voce la Legge (un po’ meno ora con Giorgia) sia così contenta di essere maggioranza e decidere da sola e nel caso sia minoranza accettare le decisioni altrui? La storia ci dice che quando i referendum li vince si applicano, quando li vincono gli altri sindacati non viene accettato il risultato per svariati motivi politici. Ma la democrazia inizia dai numeri e dal rispetto delle regole.

Questa unità sindacale ha bisogno di una scossa, di un dibattito, sarebbe utile e interessante se i delegati dalle fabbriche e dagli uffici chiedessero di aprire un confronto su questo, anche dove ci sono divisioni forti. Ritengo, infatti, che esternare forti perplessità sull’attuale unità sindacale significa essere quelli che più di chiunque altro, compresi coloro che la chiedono a priori, sostengono la necessità di un’unità sindacale fatta di valori e contenuti. Per questo mi ritengo più unitario degli attuali unitari.

Sarebbe un barlume di luce in un altro Primo Maggio stereotipato, con il corteo, il comizio, il servizio al tg3 Piemonte con gli scontri con… e qui l’elenco diventa lungo, dai centri sociali, ai pro-Pal, ai ribelli ambientalisti. Insomma, dovranno mettersi in coda e alla fine della manifestazione non resterà nella memoria quasi nulla se non il negativo. E sono anni che accade. Oltretutto con i contestatori che sono sempre “quattro gatti” che rappresentano sé stessi ma a favore di telecamere, che gli vengono ampiamente concesse. Proposi anni fa di fare diventare il Primo Maggio una festa di piazza, oltre il corteo, con stand delle associazioni giovanili, ambientali, sindacali, cooperativistiche nonché mangerecce. Collocate in piazza San Carlo con giochi per i bimbi, letture di libri, piccoli dibattiti. Insomma, anche una festa paesana ma con valori sociali, una fiera con i contenuti del lavoro. Era ed è chiedere troppo, meglio il logoro usato sicuro.

Infine si può auspicare che il Primo Maggio sia “solo” la festa del lavoro come avrebbe dovuto essere anche il 25 Aprile in cui dovremmo festeggiare “solo” la liberazione dal nazifascismo e la nascita della democrazia parlamentare basata sulla Costituzione? Anche qui chiedo troppo. Comunque, buon Primo Maggio: la festa dei lavoratori e delle lavoratrici.

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