LUTTO

Un colpo di fucile, morto Ghisolfi L’industriale amico di Renzi

È stato trovato senza vita nella sua auto a Carbonara Scrivia, in provincia di Alessandria. Suicidio legato a vicende attinenti alla sfera privata. L’imprenditore della multinazionale della chimica era un grande sostenitore del premier. L’intervista allo Spiffero

Lo hanno trovato senza vita sulla sua auto, una Lexus ferma in una strada collinare a Carbonara Scrivia, in provincia di Alessandria, ucciso da un colpo di fucile. Sembrano non esservi dubbi, Guido Ghisolfi, 58 anni, industriale con aziende in tutto il mondo, si è tolto la vita pochi chilometri dalla sua casa di Tortona, città dove è nato l’impero fondato dal padre Vittorio e dove è sempre rimasto il cuore e il cervello di uno dei più grandi gruppi industriali del Paese. Non si conoscono le ragioni del tragico gesto, si conosce invece la storia di questo industriale illuminato, cresciuto in uno dei comparti più difficili quello della chimica e che ha saputo guardare, prima di altri, avanti verso la green economy. Ma anche la storia, singolare, di un capitano di industria con nel sangue la passione per la politica che coltivava anche nelle riunioni cittadine, così come con frequentazioni ai massimi livelli del partito, il Pd, per il quale si era esposto senza ritrosie o infingimenti, da iscritto di lusso. Talvolta anche con asprezza, così come con entusiasmo, come quando salì sul palco della prima Leopolda intravvedendo in Matteo Renzi la figura che egli riteneva indispensabile per un nuovo corso di quella sinistra in cui, da industriale, si era sempre riconosciuto.

 

Un po’ politico, un po’ banchiere, soprattutto imprenditore, Guido Ghisolfi. Schivo dalle cronache, ma non restio a raccontare le sue idee, fossero di innovazione industriale, fossero della politica intesa come impegno. La multinazionale di famiglia, la Mossi&Ghisolfi, fondata dal padre, prima a intridurre il Pet nel settore del packaging alimentare, lo portava ad essere in giro per il mondo gran parte dell’anno, ma quando era stato il momento di aprire un nuovo impianto produttivo per ricavare bioetanolo, un altro dei suoi sogni realizzati, aveva scelto dapprima proprio un’area nei pressi di Tortona, poi per qualche contrarietà era stato costretto a ripiegare su Crescentino, ma rimanendo sempre in Piemonte, anzi poco lontano da casa. Una costante: il mondo e Tortona, nella vita di Guido Ghisolfi. Personaggio per molti versi schivo, come si diceva, ma anche pronto a mettersi sotto i riflettori della Leopolda per dare il suo contributo – “salari legati alla produttività, flessibilità nel mercato del lavoro, burocrazia intelligente, più investimenti in ricerca e università” -  mettendoci la faccia quando ancora Renzi non era né premier, né segretario del partito. Lo sarebbe diventato di li a poco e Ghisolfi sarebbe stato al suo fianco, anche concretamente: fece scalpore il contributo di centomila euro elargito a Renzi per le primarie. Quello di Ghisolfi fu l’aiuto, in ordine di grandezza, secondo solo a quello di Davide Serra. Finanziatore, insieme al padre, pure di Sergio Chiamparino di cui era amico ma anche perché come aveva confessato “con i poteri forti è meglio una pizza che un calcio in culo”. “Ho perso prima di tutto un amico - dice il governatore, appena appresa la tragica notizia -. l’Italia e il Piemonte perdono un grande imprenditore, un grande innovatore, un uomo di grandissima passione civile”.

 

Quando Renzi arriva in Piemonte per uno dei suoi primi tour, prima che nel capoluogo, si ferma proprio a Tortona, negli stabilimenti dell’amico Guido. In quel cuore del gruppo fondato nel 1953 da Vittorio Ghisolfi, figlio di italiani emigrati in Brasile, insieme al suocero Domenico Mossi: nasce la  Mossi&Ghisolfi . Vent’anni più tardi l’azienda è già il primo produttore italiano di imballaggi in plastica. Attualmente  la multinazionale ha  un fatturato di oltre 3 miliardi di dollari, oltre duemila addetti in tutto il mondo, impianti in Brasile, Messico, Stati Uniti, Cina, India. Un paio di anni fa la nuova sfida, il bioetanolo: Guido Ghisolfi va orgoglioso di quei 250 giovani ricercatori assunti e quei 200 milioni investiti nella green economy che è riuscito a far convivere con la “vecchia” chimica. Recentissimamente altri obiettivi da raggiungere: bioraffinerie in Sardegna, investimenti nell’impianto di Portovesme.

 

Qualche difficoltà, si è detto. Ma forse non tali da indurre questo capitano d’industria ad arrivare al gesto estremo. Non sarebbero stati i primi intoppi in una lunga carriera nell’azienda di famiglia divenuta ormai presente in tutti i continenti. Qualcuno tra gli amici ricorda di averlo notato un po’ giù negli ultimi giorni, forse depresso. Chissà. Certo era un uomo che amava le sfide, da quelle enormi da giocarsi con investimenti all’altro capo del mondo così come quelle più passionali, come per la politica. Quella che lo faceva parlare con ministri, banchieri come l’amico Fabrizio Palenzona, imprenditori come i Gavio, ma anche con gli anziani della sezione cittadina o amministratori locali. Che lo aveva portato a dare una mano al partito della sua zona quando c’era stato da  salvare il giornale locale aveva messo mano al portafoglio, e poi lo avrebbe fatto, con lo stesso understatement, per il futuro segretario nazionale.  La stessa semplicità con cui, in una recente intervista allo Spiffero, spiegava la sua ultima scommessa il bioetanolo: “Per far funzionare i nostri impianti bastano le canne che si trovano sulle rive di laghi e fiumi e che possono essere facilmente coltivate su terreni incolti”. Si è tolto la vita in un posto così. Un anonimo angolo della campagna. Nessun biglietto, nulla. Qualcosa che Guido Ghisolfi non ha avuto la forza di affrontare. Forse un segreto attinente alla sfera privata scandagliata all’improvviso e che stava per rivelarsi in pubblico lo ha portato a togliersi la vita?