Conti salvi, cittadini stremati
Carlo Manacorda, economista 08:18 Lunedì 23 Novembre 2015 0
Triga,triga. Supplica,supplica. Il “decreto salva Piemonte” è stato finalmente partorito. Presentato come intervento del Governo per salvare, in generale, i bilanci delle Regioni affetti da magagne contabili, in realtà salva, specificamente (e curiosamente), soprattutto quello del Piemonte. Un’apposita norma per la Regione Piemonte (art. 1, comma 10) le consente infatti di attutire le devastanti conseguenze per i suoi conti derivanti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 181/2015 (la Corte, rilevando l’uso scorretto dei prestiti ottenuti dal Governo per pagare i debiti dei fornitori, ha fatto schizzare il deficit della Regione – già non piccolo – a 6 miliardi). Più che giustificato quindi che il provvedimento passi alla storia come “decreto salva Piemonte”. Immediati i ringraziamenti al Governo per l’approvazione del decreto da parte del Presidente della Conferenza delle Regioni e Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, maggior beneficiario delle agevolazioni governative.
Seguendo l’iter previsto dalle norme, il decreto-legge è stato regolarmente firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (n. 266 del 14/11). Reca il numero 179/2015; oggetto: “Disposizioni urgenti in materia di contabilità e di concorso all’equilibrio della finanza pubblica delle Regioni”. Per completezza di analisi, va però detto che il decreto abortirà immediatamente. Cioè, non sarà mai convertito in legge. E’ un decreto farlocco. E’ stato approvato esclusivamente per favorire le Regioni coi bilanci sfasciati. Per ragioni di scadenze di termini, senza questa patacca avrebbero dovuto approvare i bilanci 2016 con perdite colossali (con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate: interventi della Corte dei conti, commissariamenti, ecc.). Quindi, si è fatto un decreto-legge. Ma le sue norme saranno (sono già)annegate nel maxi-emendamento che il Governo presenterà per la legge di stabilità 2016, sul quale porrà la fiducia e così sarà certo della loro approvazione. Di queste “brillanti ed encomiabili” macchinazioni, tutti (organi costituzionali, commissioni parlamentari, ecc.) erano e sono perfettamente al corrente. Ciò nonostante – e non muovendo nemmeno una pallida censura alle Regioni con le gestioni fallimentari –, tutto procede come se niente fosse. Sono metodi sconosciuti ai comuni mortali, ma ben conosciuti dalla classe politica, capace di contrabbandare lucciole per lanterne. Ma non è questo il punto. Interessano i contenuti delle norme.
Va immediatamente detto che il decreto non prevede alcuna erogazione straordinaria di fondi statali a favore del Piemonte. La voragine finanziaria creata dagli allegri governi regionali del Piemonte continua a restare tutta sulle spalle dei cittadini piemontesi. La gratitudine del Presidente Chiamparino al Governo è, quindi, un fatto puramente “tecnico-burocratico”. La sostanza delle cose non cambia. In sintesi, per pagare i debiti, si chiedono prestiti allo Stato. I prestiti vanno restituiti (ovviamente con interessi). L’agevolazione consiste nel fatto che la restituzione dei prestiti potrà essere spalmata su un arco di trent’anni. Per essere chiari, nel 2045 i piemontesi vedranno (forse) la fine dei debiti che i governi della Regione Piemonte hanno creato dagli anni ’90 del secolo passato fino ad oggi.
Già un sistema di questo genere per riportare in positivo i conti regionali desta qualche perplessità. Né convincono della sua bontà le entusiastiche lodi subito elevate dai politici che oggi governano le regioni. Cosa vuol dire “salva Piemonte”? Il Piemonte non è affatto salvo. Lo sarebbe se fossero dati finanziamenti statali (che poi sarebbero sempre comunque dei cittadini/contribuenti) per tappare i “buchi” nei conti. Ma non è così. I debiti restano e vanno pagati. Facendo i bilanci, il primo impegno anche della Regione Piemonte sarà quello di trovare, per trent’anni, i quattrini per pagarli. I debiti poi della Regione Piemonte non sono proprio piccoli. Ed allora, quale sarà l’entità delle risorse che la Regione potrà destinare alla crescita del Piemonte? Qualche indicazione può già venire dai dibattiti di questi giorni. Si cercano, disperatamente, dai 70 ai 100 milioni per poter quadrare il bilancio del 2016.
Se poi si sposta il discorso sul piano tecnico delle norme contabili,le perplessità aumentano. Con tormentati provvedimenti (decreti legislativi 118/2011 e 126/2014), si è fissato il nuovo ordinamento contabile delle Regioni. Ora non c’è norma di questo nuovo ordinamento che sembrerebbe supportare un sistema proiettato su un arco di tempo trentennale (è già difficile fare proiezioni e rispettare le norme sul periodo di tre anni contemplato dal bilancio pluriennale). Forse sul punto qualche maggiore puntualizzazione normativa non guasterebbe, a tutela di non escludibili rilievi da parte della Corte dei conti. In conclusione, sembra che di “salva Piemonte”, in termini sostanziali, ci sia ben poco. La “salvezza” consiste forse nell’evitare l’onta del commissariamento della Regione, con le disastrose conseguenze che ne deriverebbero per il suo governo e la sua immagine. Ma la Regione Piemonte resta sempre e comunque in “braghe de tela” e, salvo vincite all’Enalotto, lo resterà per trent’anni.
Il decreto colpisce anche per la macchinosità usata per scrivere le norme. Si tratta di norme tecniche di contabilità pubblica. Quindi di regole essenzialmente rivolte a “addetti ai lavori”. Non si può però dimenticare che sono norme che vengono emanate – come indicato anche dalla Corte dei conti nella Relazione sulla verifica dei conti della Regione Piemonte relativi all’anno 2014 – per interpretare altre norme (artt. 2 e 3 del DL 35/2013, L. 64/2013) evidentemente oscure, tanto da aver indotto ad applicazioni errate, successivamente censurate dalla Corte costituzionale con la sentenza citata prima. Sarebbe auspicabile che la tortuosità delle norme non inducesse a nuove, errate applicazioni che richiedessero altre sentenze della Corte costituzionale e nuove leggi interpretative. Superfluo evidenziare come applicazioni di regole in questa maniera ai conti delle imprese le porterebbero al fallimento certo.
Il decreto potrà anche essere definito “salva Piemonte” (peraltro nei termini prima esposti). Ma forse sarebbe meglio definirlo ammazza piemontesi. E questo per trent’anni. E’ assolutamente infondato continuare a spergiurare che non si ricorrerà a nuove tasse per coprire le spese (comprese quelle onerosissime per restituire, con interessi, i prestiti ottenuti). La gestione dei conti della Regione non potrà che basarsi, oggi ed in futuro, su tasse e ancora tasse, messe dovunque si possa e nella misura massima. D’altro canto, non può essere diversamente, e non si possono illudere i cittadini che, vendendo qualche immobile, si troveranno le risorse per investimenti e cose simili. La Regione Piemonte possiede immobili commerciabili valutati al 31 dicembre 2013 (ultimo dato disponibile) per 549.061.772,89. Quand’anche riuscisse a venderli tutti (magari alla Cassa Depositi e Prestiti), il controvalore non coprirebbe che una minima parte dei debiti da pagare. Altro non resta. Resta solo l’Europa, fin tanto che si riuscirà ad ottenere qualche risorsa di lì (che, fortunatamente, non potrà essere impiegata per pagare i debiti della gestione). Basta buttare un occhio sul patrimonio della Regione, contabilizzato alla chiusura dell’anno 2013. Trasparenza vorrebbe che di tutto questo i piemontesi fossero opportunamente informati.
A conti fatti, se vuoi passare alla storia, è sufficiente aver fatto parte di qualche governo regionale. A distanza di anni, ci sarà sempre qualcuno che ti ricorderà (ovviamente maledicendoti) per i debiti che gli hai lasciato. Ma tu vivrai in assoluta tranquillità. Nessuno ti riterrà mai responsabile degli sfracelli finanziari che hai prodotto.


