“Fassino paga il Sistema Torino”
Oscar Serra 22:26 Venerdì 08 Luglio 2016 1L’ex sindaco sul banco degli imputati alla direzione provinciale del Pd. Il senatore Esposito: “Io le nomine di Profumo e Peveraro non le avrei fatte”. La risposta: “Non l’ho inventato io, semmai ho cambiato la rotta”. Congresso verso uno slittamento alla fine dell'anno
“Caro Piero, te lo dico chiaramente, io le nomine di Francesco Profumo e Paolo Peveraro non le avrei fatte”. Il senatore Stefano Esposito è il primo ad attaccare frontalmente Fassino alla direzione del Pd torinese, convocata per analizzare la débâcle elettorale e avviare il confronto su congresso e referendum. A rompere lamonotonia di una discussione che aveva preso la piega del braccio di ferro tra la sinistra interna (che chiedeva la convocazione dell’assemblea in cui gli organi esecutivi rimettessero il loro mandato) e Fabrizio Morri è stato il parlamentare democratico secondo il quale “il Sistema Torino c’è ed è un sistema asfittico che ha portato il Pd al cortocircuito”. Il vedere sempre le stesse figure nei posti chiave “ha generato, non nelle periferie, ma in quello che una volta si chiamava
il ceto borghese pensante, un astio”. Sono pure gli stakeholder ad aver abbandonato Fassino secondo Esposito, parte di quel milieu che in un primo tempo aveva partecipato al rinnovamento della città e che poi ha assistito a un sistema sclerotizzato che, se nella sua prima fase, è stato motore di un processo di sviluppo e innovazione sia politica sia amministrativa, poi si è avvitato su se stesso. E le nomine di Profumo e Peveraro, fatte a un mese dalle urne, non sono che l’emblema di tutto ciò. Perché “quelle nomine – ha proseguito Esposito - non turbano certo chi abita a Madonna di Campagna o nelle periferie, ma nostri interlocutori come il Politecnico e l’Università; ambienti che alla fine hanno vissuto il Pd come il partito da mandare a casa”. Fassino scuote la testa, nell’infuocata (per via dell’assenza di aria condizianata) sala di via Masserano c’era chi annuiva.
Un j’accuse in gran parte respinto dall’ex primo cittadino, che con il suo intervento ha, di fatto, chiuso i lavori. Parla di “caricature” fatte di un sistema che, “anche esistesse non l’ho mica messo in piedi io”. Da una parte prova a scrollarsi dal groppone quel fardello ereditato dai suoi predecessori, dall’altra rivendica le nomine “in Fondazione Crt dove ne ho cambiati cinque su sei” e nelle fondazioni culturali, dalla Torino Musei all’Egizio, dalla Gam al Museo del Cinema. Insomma “c’è stata una vulgata che io mi permetto di contestare” insieme a “un dibattito sul rinnovamento generazionale che non esiste in nessuna parte del mondo.
Negli Stati Uniti si sfidano Clinton e Trump”, come a dire non due ragazzini. Fassino parla di “provincialismo e subalternità culturale” da parte di chi mi fa le pulci “dopo aver gestito per 20 anni questo partito”, e qui il riferimento è all’ex consigliere regionale Roberto Placido, un altro che, sulla scia di Esposito, ha attaccato Fassino citando l’ormai celebre quanto abusato studio di Ravazzi e Belligni su “La politica e la città”. L’ex sindaco ammette che si è chiuso un ciclo, ribadisce il timore “che i Cinquestelle “ci consegnino una città più piccola e chiusa in se stessa” come dimostra il fatto che
“mentre l’assessore Montanari parlava di giardinetti sui giornali, il sindaco di Milano era a Londra a cercare opportunità per la sua città dopo la Brexit”.
Capitolo congresso. Nella sua relazione iniziale il segretario Morri ha confermato la disponibilità a convocare un congresso straordinario da tenere subito dopo la Festa dell’Unità, fra il 15 settembre e la prima domenica di ottobre: prospettiva non gradita ad alcuni, a partire proprio da Esposito, che ha chiesto un confronto “ampio e aperto dopo il referendum”, mentre il documento della sinistra dem, che chiedeva la convocazione dell’assemblea e le dimissioni degli organi esecutivi non è stato messo ai voti. Si va, dunque, verso una conta interna al Pd di Torino che ragionevolmente sarà alla fine dell’anno, dopo la consultazione sulle riforme, e con uno scenario politico nazionale che sarà, in un caso o nell’altro, completamente mutato rispetto a quello attuale. Intanto, ammoniscono Fassino ed Esposito, “tutti hanno la libertà di votare contro il referendum del governo e dirlo apertamente, ma il partito ha il dovere di andare dagli elettori con una indicazione di voto. E tutto il partito lavorerà sulla base di quella indicazione di voto”.